Non c’è una doccia per ripulirsi dalla realtà


Semplificando enormemente l’argomento, in psicanalisi, la manìa del pulito e della disinfezione – la tendenza compulsiva a strofinare, ripulire e riordinare tutto, di continuo, tipica di alcuni soggetti/pazienti negli Stati Uniti chiamati Washers and Cleaners – viene considerata espressione diretta di uno “sporco” interiore. Uno “sporco” (si fa per dire, non parliamo di segreti oscuri nel proprio passato, il discorso è concettuale: lo “sporco” può avere a che fare con un tradimento verso Sé stessi, come l’abitudine di impedire alle emozioni di emergere) che è impossibile da pulire – non c’è in commercio detergente abbastanza efficace da lindare e sanificare, invece dei pavimenti, le cavità interiori e gli anfratti dell’anima – e che per questo viene continuamente richiamato dall’ossessivo/compulsivo, intento a simulare e riprodurre nel comportamento esteriore una “pulitura” che non sa far avvenire dentro di sé.

Vivere in un ambiente ordinato e pulito è un’esigenza normale, ci manca solo: averne la manìa, invece, no. Attraverso questo continuo fare ordine, infatti, la persona crede di riuscire a ripristinare e mantenere un proprio “equilibrio interiore”: ma i “rituali” di controllo messi in atto per debellare l’ansia che il disordine genera – pulire, strofinare, lucidare – funzionano sempre meno, e garantiscono solo in apparenza una condizione di serenità e sicurezza. Più si pulisce, più l’ansia si autoalimenta in un circolo vizioso, che spinge a pulire ancora e ancora.

Per questo mi ha colpito molto la notizia (a proposito: ma come è ridotto il giornalismo?) relativa alla doccia imponente, fatta installare dalla regine delle influencer di casa nostra. Un’installazione, e un impiego di materiali, che in altre epoche sarebbe stato più adatto a un mausoleo, o una piramide, trattandosi (racconta il cronista) di “una enorme cabina sempre a effetto marmo, caratterizzata da soffioni incassati nel muro, una panchina coordinata e le luci a led per la cromoterapia“. I giornali ne hanno parlato con toni adulatori ed enfatici, neanche ci trovassimo di fronte a una basilica.

Arrivo al punto, spiegando la lunga premessa. Se abbiamo detto che molto “sporco” significa, per il paziente nevrotico, molto pulito, come possiamo leggere questa immensa doccia?

A pensar male si fa peccato, ma tante volte ci si azzecca. E allora, azzardando un’interpretazione a distanza, chissà che l’influencer alle corde – tra foto di nudo per ravvivare interazioni in calo, bambine intelligenti che la riprendono in pubblico e soprattutto la vicenda Balocco, con le ispezioni del Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza nelle sue società – non si trovi ormai nella stessa condizione di quei soggetti ossessionati dal “pulito”, e costretti a compulsioni (spazzare, lustrare, mondare) che non risolvono nulla – in un circolo infinito che solo un aiuto esterno può spezzare. Chissà che, come dicevo tempo fa, non sia ormai alla frutta.

Il mio augurio è che la cromoterapia basti, ma ho i miei dubbi. Quando si smarrisce così profondamente il contatto con sé stessi – un fatto inevitabile quando si vive una vita di iperlusso, slegata dal mondo che ci circonda, abitando un regno del nulla dove si elogia la ricchezza, si cura l’immagine da mane a sera e nient’altro sembra contare davvero – è davvero difficile tornare in carreggiata. Mi ripeto: povera Chiara Ferragni, non esiste ancora una doccia al mondo grande abbastanza in cui rifugiarsi, per sfuggire l’evidenza. Per ripulirsi dalla realtà, che torna sempre a imporsi e che di sicuro non tollera la propria infinita distorsione.

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