Basta battute, basta ironie: Vannacci ora va preso sul serio!


Disabili in “classi separate“, Mussolini “statista“, l’aborto una “infelice necessità“: da settimane un tal Vannacci, già generale e ora scheggia impazzita nell’agone politico, va distribuendo come non ci fosse un domani assurdità e provocazioni belle e buone, riempiendo le desolanti cronache nazionale e rifornendo i giornalisti di qualche notiziucola da pubblicare. A quanto pare, il suo (solo) scopo è far parlare di sè: cosa che gli riesce perfettamente dalla pubblicazione del best seller, Il Mondo al Contrario, che l’ha fatto conoscere all’Italia intera.

Anche solo scorrere le argomentazioni, approfondire le idee (?) e i ragionamenti del nostro uomo, onestamente, è una faticaccia: da “cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!” al “lavaggio del cervello di chi vorrebbe favorire l’eliminazione di ogni differenza compresa quella tra etnie, per non chiamarle razze” fino a “Paola Egonu italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità”, il Vannacci-pensiero è un campionario di trivialità, luoghi comuni, espressioni di sessismo da caserma e xenofobia pura e semplice.

Per carità: se in molti lo leggono una ragione ci sarà. Fino a qui, però, dell’horror show messo su quotidianamente da Vannacci nessuno si era interessato più di tanto. Che parli pure, pensavano in molti: affari di chi lo starà ad ascoltare. Quasi tutti lo consideravano una meteora, una presenza temporanea nel dibattito pubblico. Ora, di fronte alla notizia della sua candidatura alle elezioni europee con la Lega, le cose però cambiano: il Carroccio spera di interrompere l’emorragia di consensi che va aggravandosi a ogni elezione ma per farlo ha scelto di giocare una carta delicatissima – una carta della disperazione, direi – che non può non far discutere a lungo.

In primis, metà del partito è in subbuglio per una candidatura imposta dall’alto, relativa a un soggetto che non ha mai fatto parte della Lega e che non ha nessun contatto con i territori. Ma soprattutto, in molti sono insorti per l’idea stessa di candidare un Vannacci. “Non è della Lega”, ha tagliato corto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, a conferma del disagio che si respira tra le fila del Carroccio.

Un disagio, diciamolo senza ipocrisie, sacrosanto: candidare Vannacci significa completare la distruzione morale e giuridica dei presupposti per far parte del Parlamento europeo. Per dirla in altre parole:

Il generale Roberto Vannacci non è un game changer, è la versione basica dello zio che dice banalità e bestialità al pranzo di Natale. Nessuno lo prende davvero sul serio. Anche per questo, però, è il candidato perfetto.

Certo, ironizzare nei confronti di un soggetto simile è facile. Viene davvero voglia di farlo, quando ci si accorge che il suo “programma politico” è un’accozzaglia di idee banalotte e abusate, vecchie di duecento anni, riversate in un pamphlet sgrammaticato e contraddittorio che mette insieme i concetti più reazionari, e banali, di questo mondo.

Il fatto però è un altro. Non si può più scherzare al riguardo, non si può sminuire la cosa. Il tempo delle ironie è finito: quando si decide di candidare un soggetto simile si costringe l’opinione pubblica a prenderlo sul serio, ad ascoltare con attenzione quello che dice. Per questo, al di là del partito che lo candida, bisogna parlare chiaro e non ci si può più nascondere.

Di fronte alla possibilità di vederlo eletto bisogna dire le cose come stanno. Parafrasando Brecht, sfortunato quel popolo che ha bisogno di un Vannacci: di (altri) politici sospesi tra il ridicolo e la mitomania, davvero, non sentivamo nessun bisogno.

 

 

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