Sminuire le donne è un trucchetto che non funziona più


Niente di nuovo sotto il sole, neanche con riferimento al tema della violenza sessuale – attualmente al centro delle cronache – in questa torrida estate. Basta fare un passo indietro per accorgersene: già gli antichi romani – e Cicerone, un vero e proprio artista del diritto ante litteram, fra loro – adottavano una tattica rimasta per secoli nei manuali dell’arte oratoria. Miravano cioè a screditare l’accusatrice, a sminuirne la credibilità – cosa peraltro facile, in un contesto che garantiva sì una certa centralità alle donne, ma sotto sotto traboccava di pregiudizi anti-femminili.

Si tratta quindi di un’eredità che arriva da grandi maestri dell’oratoria, diremmo oggi “maschilisti”; due volte “maschilisti” nel caso di Cicerone, la cui verve polemica era alimentata da una ferita narcisistica tutta maschile: aveva tentato infatti di conquistare i favori della generosa nobildonna oggetto della controversia, finendone seccamente respinto. Per citare le sue parole contro Clodia:

Cicerone, non disponendo né di prove, né di testimoni che possano dimostrare l’infondatezza delle accuse […] demolisce la credibilità dell’accusatrice, la cui libertà di costumi è nota a tutti, con la descrizione sarcastica e spietata della donna che a Baia è protagonista di “orge, passioni libidinose, adulteri, gozzoviglie, canti, concerti, gite in barca”. La villa di Clodia è un accogliente porto per tutti gli scapestrati: la dissoluta villeggiante di Baia è la stessa insaziabile signora che a Roma ha comprato una villa con giardino proprio in un punto del Tevere, “dove tutti i giovani si recano a fare il bagno”: e questa, delle nuotate nel fiume, è una notizia interessante. Nella cattiveria con cui alla fine dell’attacco Cicerone definisce Clodia “prostituta provocante e sfrontata” c’è forse il segno del ricordo di quando anche lui cercò di conquistare i favori della generosa nobildonna, ma lei lo umiliò respingendone il corteggiamento.

Dal tempo di Cicerone sono trascorsi un paio di millenni, ma non sembra che sul punto sia cambiato granché. Per cui, non c’è da stupirsi se oggi – con tanta, tanta sapienza giuridica in meno, ma con le stesse mentalità di allora – ci si rifugia in una soluzione che è vecchia di millenni, e rappresenta a tutti gli effetti l’espressione di una cultura “tossica“. Minimizzare e screditare la donna che ha denunciato è un trucchetto per ribaltare il rapporto tra accusatore e accusato, per contestare il piano di realtà – con buona pace delle belle parole ripetute in pompa magna per convincere le donne a denunciare. Il fatto che a farlo sia la seconda carica dello Stato non cambia nulla – aggrava solo il quadro generale, certo, ma non apporta nulla nella sostanza – rispetto a questa palese evidenza:

“Lascia molti interrogativi una denuncia presentata dopo quaranta giorni dall’avvocato estensore che, cito testualmente il giornale che ne dà notizia, occupa questo tempo per rimettere insieme i fatti”.

Si vedrà come andranno a finire le indagini, ma in ogni caso dichiarazioni del genere finiranno di diritto nella galleria degli orrori delle pubbliche dichiarazioni di maschilismo tossico. Il giochino ormai non funziona più, ma contribuisce a un clima che scoraggia ulteriormente l’emersione delle situazioni di violenza. Come ci ricorda l’Istat, la violenza di genere è infatti un fenomeno ancora sommerso: è elevata, infatti, la quota di donne che non parlano con nessuno della violenza subita (il 28,1% nel caso di violenze da partner, il 25,5% per quelle da non partner), di chi non denuncia (i tassi di denuncia riguardano il 12,2% delle violenza da partner e il 6% di quelle da non partner), di chi non cerca aiuto; ancora poche sono, infatti, le donne che si rivolgono ad un centro antiviolenza o in generale un servizio specializzato (rispettivamente il 3,7% nel caso di violenza nella coppia e l’1% per quelle al di fuori). Ma la cosa più preoccupante è che queste azioni sarebbero davvero essenziali per aiutare la donna ad uscire dalla violenza. Una domanda, per questo, mi rimane da giorni in gola: con quale faccia, adesso, lo Stato le convincerà che denunciare è la cosa giusta?

 

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