So bene di essere in grande ritardo rispetto alla maggior parte degli spettatori – che di sicuro che la conoscono già – ma avendo poco a disposizione, causa lavoro sovrabbondante e continuo, ho solo da poco cominciato a vedere House of Cards. Si tratta della famosissima serie ambientata a Washington che segue l’ascesa di Frank Underwood (e della moglie Claire): un classico prodotto dei nostri tempi, sia nella produzione che nella trama. Senza esclusione di colpi i due infatti raggiungono l’apice del potere, condividendo con il pubblico intrighi, segreti e oscenità messi in atto in nome della più classica bramosia di fama e ricchezza.
Nulla di nuovo insomma sotto il sole, se non fosse che – arrivato, non senza fatica, forse all’11ma puntata – ho assistito a una scena davvero raccapricciante. Il protagonista – descritto in modo negativo (un lobbista, uno che guarda solo alla carriera, senza scrupoli e via dicendo), ma comunque ritratto in modo da attirare la simpatia dello spettatore – mette in atto una violenza terrificante: prende un poveraccio, mezzo ubriaco, lo porta in garage, poi accende il motore e lo abbandona lì dentro. Dopo essere uscito lo chiude lì dentro e quindi lo ammazza a sangue freddo – inscenando un suicidio. Morale: un crimine orrendo ha risolto il problema del malvagio, ma sempre simpatico, protagonista.
Di fronte a immagini tanto gratuite e tanto agghiaccianti, elargite a piene mani da autori e produttori in crisi d’idee, viene da chiedersi come mai di violenza in TV non parli mai nessuno. Sembra invece tutto normale, ormai, e qualunque comportamento da disadattati, asociali, sadici, maniaci e così via sembra lecito e anzi raccomandabile in un periodo in cui i prodotti multimediali – come le battaglie dell’antichità – si misurano anche sulla quantità di morti e feriti messe in scena e rappresentate; ma in realtà non c’è niente di normale, se pensiamo che un tasso di violenza assurdo e svincolato da qualsiasi necessità narrativa è ormai la prassi quotidiana per migliaia di bambini e ragazzi, sottoposti a messaggi e modelli che in nulla possono contribuire alla loro formazione (e lasciamo da parte – per carità di Patria – commenti sulle vicende legali della rete Netflix e dell’attore Kevin Spacey, che meriterebbero un altro articolo a parte).
Per dirla con le parole dello psichiatra Michele Cucchi, direttore sanitario del Centro Medico Santagostino di Milano:
“La condivisione delle immagini più crude, le serie Tv e i talk show che trasformano in usanza il ricorso alla prevaricazione e l’aggressività nella dinamica interpersonale, provoca nelle persone la cosiddetta ‘Sindrome da Gomorra’ che influenza il nostro cervello emotivo; la violenza in Tv è un’abitudine che contagia tutti a suon di audience e, come dimostrano numerosi studi scientifici, vedere in televisione aggressività e violenza nelle sue varie forme, provoca disturbi non indifferenti nella testa delle persone. Osservare troppo spesso situazioni relazionali di aggressività interpersonale, favorisce soprattutto negli adolescenti episodi e modalità aggressive in un ‘follow up’ di tre anni”.
E ancora:
“Nella società di oggi, dove ostilità, egocentrismo, diffidenza caratterizzano molte delle nostre dinamiche interattive – continua Cucchi – ci sarebbe da chiedersi quali potenziali effetti benefici di una TV ‘virtuosa’ stiamo perdendo come opportunità di crescita per tutti noi, ma soprattutto per i nostri figli. Infatti un altro elemento caratterizzante di questo disturbo, sembrerebbe essere lo sviluppo di idee fisse, quasi deliranti, circa l’essere bullato, perseguitato in qualche modo o più semplicemente oppresso. Questo provoca la ricerca smodata di una legittima autodifesa anche attraverso l’uso di armi e la perdita del controllo degli impulsi. Alcuni autori suggerisco che siano queste caratteristiche a poter spiegare certi omicidi e suicidi altrimenti inspiegabili“.
Il sospetto che tutta questa violenza possa avere ripercussioni nella realtà è, per chi ha ancora una testa per ragionare, fortissimo. Non a caso, alcuni studi sostengono da tempo che la visione di immagini violente in TV provochi nel lungo periodo comportamenti aggressivi nei ragazzi. E c’è anche chi mette in guardia rispetto al fatto che il discorso vada ulteriormente allargato, visto che siamo abituati a vedere “solo una parte delle forme di violenza che ci sono e che a volte sono ben più pervasive e sottili che non quelle cinematograficamente rappresentate. Ad esempio le scene di abuso psicologico sono molto più impattanti e disgreganti che non necessariamente quelle della violenza esplicita, anche perché vanno a cogliere, a colpire, anche dei livelli che sono più sottili che non quelli della decodificazione immediata visiva di quello che succede“.
Da noi, invece, tutto tace e tutti tacciono. Nel frattempo i palinsesti traboccano di contenuti inadatti per i giovani: una nuova normalità che di normale non ha proprio nulla. Come spesso succede quando noi del Codacons ci interessiamo a un tema – un esempio recente: la faccenda del pandoro più chiacchierato d’Italia – inizialmente siamo gli unici, o quasi, a ravvisarne la gravità.
Ma se negli Stati Uniti si parla da 30 anni filati di violenza in TV, chi è in fin dei conti che non sa guardare oltre il proprio naso?