Diciamolo chiaramente: Camilleri – con i suoi, senza offesa, romanzetti – ha capito gli italiani meglio di tanti letterati e sociologi.
Lo dimostra l’invenzione di Vigata, un inferno (o un paradiso) dove – chissà come – convivono tutti i peccati e i vizi del mondo: un paese che non esiste ma che tutti riconosciamo, perché ci assomiglia.
È quasi surreale: Vigata sembra il centro dell’universo, una specie di laboratorio antropologico dove si sperimentano tutti i comportamenti umani, dai più teneri ai più aberranti. In poche vie di paese trovi tutto: desiderio, gelosia, tradimento, delitto, redenzione, ironia e, naturalmente, una buona dose di sangue.
In questo modo, come uno specchio, il borgo ci mostra le nostre debolezze, i nostri moralismi a comando, le piccole furbizie quotidiane – e noi, invece di indignarci, ce ne siamo innamorati.
A Vigata ci viviamo tutti, anche se non lo sappiamo. Ogni episodio di Montalbano è un campionario del Paese reale: l’ipocrisia, il desiderio, il perbenismo, la voglia di nascondere la verità sotto il tappeto. Lì c’è di tutto – l’omosessuale che ha paura di essere scoperto, la coppia che mente, il politico che manovra, il vicino che finge di non vedere. E, puntualmente, la scoperta di un segreto finisce con un morto stecchito e il commissario che – come fosse tutto normale – risolve tutto tra una nuotata e una cena fuori.
Ecco il paradosso: Camilleri ci fa la caricatura e noi lo festeggiamo. Ci offre un ritratto spietato dell’Italia — un posto dove ormai siamo avvezzi a ogni nefandezza, a ogni grigiore morale – e noi lo ripaghiamo con una fedeltà televisiva, e letteraria, senza confini. Ci identifichiamo in Montalbano perché è come noi: fedele ma distratto dalle belle donne, indignato ma ormai diventato consapevole, rigoroso ma sempre fino a un certo punto.
Il colpo di genio non è tanto nel personaggio, quanto nel meccanismo: Vigata è una caricatura, un’estremizzazione del Paese ma funziona perché è credibile.
È un’Italia in miniatura dove ogni colpevole ha la sua scusa pronta. E noi ci riconosciamo, ridiamo, commentiamo, magari ci indigniamo un po’, e poi la volta successiva siamo di nuovo lì, davanti alla TV.
Alla fine Camilleri ci ha fatto un ritratto e ci ha convinti che fosse un paesaggio. E il bello è che – a vederci sullo schermo – ci siamo pure piaciuti!




