Molte, moltissime polemiche per la puntata di “Non è l’arena”, con lo scontro tra il conduttore e Selvaggia Lucarelli che ha fatto impazzire i social e non solo. Ma mentre tutti hanno concentrato l’attenzione sul Giletti col giubotto nero, antiproiettile, con la scritta “Press” dei veri inviati nel teatro di guerra, sul Giletti che accarezza un gattino («simbolo della vita che vuole andare avanti» ) o che commenta gli spari in diretta tirando per la collottola il cameraman, un altro particolare è sfuggito alla gran parte degli osservatori.
A un certo punto della puntata, infatti, è accaduta una cosa abbastanza incredibile: una povera ragazza russa – che aveva accettato l’invito del conduttore per rappresentare le ragioni del suo Paese, come umanamente comprensibile – si è ritrovata al centro di una specie di linciaggio culturale.
Intorno, infatti, come a un processo dell’Inquisizione, si pretendeva che nominasse la parola terribile: “Guerra”. E più lei svicolava, ricorrendo a quella (“operazione speciale”) che è la dicitura ufficiale impiegata da Mosca, più veniva aggredita e – senza più freni – accusata di complicità, di vicinanza con l’aggressore, quasi di collaborazionismo.
Nessuno, in trasmissione, ha pensato che quella parola – “Guerra” – magari la ragazza non potesse proprio dirla: forse per non esporre i suoi familiari in Russia a rappresaglie, forse per quell’attaccamento con la terra di origine che ognuno di noi mantiene fino alla tomba. Chissà. In ogni caso, nessuno è intervenuto: e la lapidazione pubblica – agita con la stessa enfasi perversa di quelli che provano a censurare Dostoevskji – è continuata, fino alla fine, con la silenziosa approvazione del conduttore. “Siete schiavi”, “Vergognatevi”, ha detto – testualmente – l’interlocutore (tal Vladislav Maistrouk, perfetto novello Torquemada) riferendosi alla nazione russa nella sua totalità. E non solo:
Finché tu rimanendo a Roma dimostri questa codardaggine continueranno a morire a migliaia civili e soldati.
Non è l’arena – Puntata del 20/3/2022
Ci sono passaggi, durante le trasmissioni televisive – specie quelle seguite dal pubblico di massa – che risultano minuti, apparentemente secondari, e invece contano più di tutto il resto. Il problema del programma di Giletti non è, come vuole qualcuno, il conduttore. Non è stato il coprifuoco, nè il tentativo di fare giornalismo di guerra. Il problema, semmai, è più nascosto: è il contesto in cui può avvenire quello che è avvenuto, con una giovane donna costretta quasi a scusarsi per essere nata russa e nessuno, tra i presenti, a fermare lo scempio in corso.
Ecco, la cosa veramente grave; non altro.