Altro che TeleMeloni: la RAI lottizzata garantisce il vero pluralismo!


In questi giorni è stato diffuso un comunicato dell’Usigrai – il sindacato dei giornalisti RAI – che più o meno ripete le stesse cose ripetute ogni giorno dal PD e dalla segretaria Schlein: e cioè, in sintesi, che bisogna al più presto togliere le mani della politica (“TeleMeloni”) dalla RAI. La circolazione della nota dell’Usigrai è l’occasione per tornare su questo tema, visto che spulciandola si legge che “questo feroce spoil system non fa bene a nessuno” e che è indispensabile una riforma della Tv di Stato “di livello europeo, unita alla certezza di risorse di lungo periodo“. Per riassumere le argomentazioni di questi signori:

“ll tema non è il riequilibrio, ma l’uscita dei partiti – tutti – dalla Rai”.

Di questo argomento abbiamo già parlato in passato, ma conviene tornare a farlo perché evidentemente a qualcuno non è chiaro un concetto di base. I giornalisti RAI, troppo presi dalla lotta al “regime meloniano” e a fare barricate per contestare il governo di turno, non si accorgono che non c’è alcuno scandalo: le cose funzionano così semplicemente perché così è previsto dal nostro ordinamento, visto che è proprio la Legge Mammì a garantire “pluralismo e democrazia” tramite una proporzionale, giusta rappresentazione dei diversi punti di vista in gioco. Come noto la ripartizione riguarda anche i canali:

La spartizione più nota all’interno della Rai riguarda le tre principali reti televisive, la cui guida da decenni è divisa tra i principali schieramenti politici: RaiUno è filogovernativa, RaiDue è in quota centrodestra e RaiTre in quota centrosinistra.

Si tratta di un assetto noto, condiviso e ormai ultradecennale, accettato dalle forze politiche a garanzia delle opinioni e delle posizioni di tutti. Nulla di nuovo, nulla di esclusivamente meloniano o di recente. E nulla, davvero, che non trovi fondamento nel nostro ordinamento, nelle regole comuni che ci siamo dati come comunità.

Gridare allo scandalo per la “lottizzazione” è come prendersela con i mulini a vento: è ovvio che chi vince le elezioni decida quello che vuole, e che imposti le trasmissioni sulla base della sua visione del mondo e dei suoi principi (condivisi evidentemente dagli elettori, che altrimenti non li avrebbero votati). Questo è il servizio pubblico (e per fortuna): insorgere di fronte a una dinamica prevista dalla legge, a un rituale che va in scena ogni volta a parti invertite, è espressione di profonda disonestà intellettuale.

Gli alti lai contro l’occupazione di viale Mazzini, molto di moda in questi giorni e ricorrenti a ogni cambio di governo, davvero fanno sorridere. Sono la prova che alcuni, quando si tratta di demonizzare il nemico di turno, non si fermano davvero davanti a nulla e arrivano a ribaltare persino la realtà. Come avevo scritto neanche un anno fa:

Queste anime belle non ricordano mai, infatti, che la legge vigente prevede proprio questo meccanismo: ossia che la RAI – finanziata da soldi pubblici, e quindi dagli utenti – debba avere una rappresentanza, nei ruoli di rilievo e nella linea editoriale generale, proporzionale alla “forza” parlamentare dei vari partiti: se per ipotesi Tizio prende il 70% dei voti, la Commissione Parlamentare di Vigilanza avrà la stessa rappresentanza, lasciando comunque a Caio – in minoranza – la sua “porzione” e riconoscendogli il diritto, comunque, a sostenere le proprie ragioni. Tutto normale: sarebbe assurdo se i palinsesti o i vertici fossero decisi da chi le elezioni le perde, no?

Non è il caso e non è il fato, quindi: è la Legge ad aver stabilito che alla RAI comanda chi comanda in Parlamento. Questo sistema di influenza della politica (ma in realtà degli elettori che hanno eletto i parlamentari, che sia a maggioranza o meno) sulla RAI mette la rete di Stato in mano ai cittadini, ed è l’unico modo per garantire un reale pluralismo: se non fosse così – con i tecnici o con altre soluzioni – chiunque potrebbe comandare in RAI, e continuare a farlo sine die; se non fosse così la rete di Stato sarebbe in mano ai più potenti o più ricchi (come succede nelle TV private, dove il partito del fu Berlusconi fa il pieno di reti e poltrone), e per tutti gli altri non ci sarebbe più spazio e possibilità d’espressione; se non fosse così, eliminando questo equilibrato sistema, si finirebbe per dare spazio solo ai potenti e più ricchi imprenditori (anche americani, come accaduto con Nove, o addirittura arabi…) trasformando il servizio pubblico in un servizio privato agli ordini del più potente (non elettoralmente, bensì per i denari di cui dispone) di turno.

Ecco quindi spiegato l’arcano: altre strade, per garantire la massima democrazia a viale Mazzini, semplicemente non ci sono. Affannarsi per cercarle, come fanno alcuni, è un esercizio inutile: e protestare contro la lottizzazione, sapendo di averla praticata, è davvero espressione di una clamorosa disonestà intellettuale.

A quanto pare, però, in molti non intendono cambiare rotta – anche a costo di rasentare il ridicolo. E allora, a lorsignori dico: prego, continuate pure a stracciarvi le vesti per una normalissima alternanza al governo, a rimpiangere i bei tempi andati (cioè, quando comandavate voi), a invocare da buoni ipocriti e per l’ennesima volta una RAI senza partiti (che, ora è chiaro, sarebbe una mostruosità democratica). Liberi di farlo, per carità; ma, lasciatemelo dire, è davvero fatica sprecata.

 

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