La legalizzazione delle droghe leggere è inevitabile


L’intervento di Elly Shlein, neo-segretaria del PD, che senza mezzi termini ha detto «sì alla liberalizzazione delle droghe leggere» riapre un dibattito che, nel nostro Paese, dura ormai da troppo tempo. Al di là infatti della coloritura politica di chi avanza la proposta – oggi il PD, ieri il M5S, l’altroieri i Radicali e così via – la questione tende infatti a riemergere, come accade con i contenuti rimossi di cui parla Freud: questi, infatti stazionano silenti e muti, quasi invisibili, per tempi lunghissimi. In questo caso, il tema della legalizzazione è rimasto sullo sfondo mentre piano piano cambiavano le leggi e le sensibilità:

In Italia, il quadro legislativo che regola il consumo e il commercio di sostanze illecite adotta un sistema punitivo, che parte dalla legge Iervolino-Vassalli, del 1990. Tale disegno di legge prevedeva che le sostanze stupefacenti fossero definite in base ai loro effetti, ma in base al fatto che fossero contenute in uno di due elenchi periodicamente aggiornati dal ministero della Sanità. Il primo elenco comprendeva le droghe pesanti, il secondo le droghe leggere. Erano inseriti in quest’ultimo elenco i derivati della cannabis, ovvero hashish e marijuana. Per il commercio di entrambe le categorie era prevista una pena di reclusione, più lunga nel caso delle droghe pesanti. Per il consumo, era invece prevista una sanzione amministrativa.

Con il disegno di legge 2038, risalente al 2006 e passato alla storia come legge Fini-Giovanardi, la distinzione tra droghe leggere e pesanti era stata annullata, e tutte le sostanze erano state inserite nella stessa tabella, con conseguente inasprimento delle pene. Nel 2014, la Corte costituzionale definì la legge Fini-Giovanardi “incostituzionale, non per il contenuto, ma per il modo in cui era stata approvata, dato che che era stata inserita all’interno di un provvedimento che si occupava di svariate materia.

Dal 2014, la normativa principale in materia di stupefacenti è il decreto Lorenzin, secondo il quale le tabelle di sostanze pubblicato dal ministero della Salute sono cinque, in base alla pericolosità attribuita alla sostanza. La cannabis e i derivati sono inseriti all’interno della seconda tabella. Le pene previste per il commercio e il consumo di queste sostanze sono inferiori rispetto al passato, ma ci sono ancora.

Un flusso di modifiche, proposte, pugni duri e irrigidimenti senza fine e senza esito. Nel frattempo il mondo intorno, però, stava cambiando: i sondaggi, ormai, fotografano l’avvenuta trasformazione, e raccontano che anche gli italiani di repressione e divieti non ne possono davvero più. L’idea della legalizzazione di una droga controllata, anche nelle modalità di vendita, prende piede. Ecco perchè – a conferma del fatto che i contenuti rimossi alla fine riemergono sempre, puntuali come un destino – anche stavolta si è tornati a parlare della cosa più ovvia del mondo – la legalizzazione; ma solo dopo aver passato anni a fare l’opposto.

Una prova, l’ennesima, della drammatica noncuranza – da parte di chi detiene il potere nel nostro Paese – verso qualsiasi proposta di cambiamento proveniente dalla società civile organizzata.

Eppure, una cosa è lampante: i vantaggi di un simile provvedimento sarebbero innegabili, immediati e a costo quasi zero. Per farci un’idea c’è il Libro Bianco sulle droghe, giunto alla tredicesima edizione: un rapporto indipendente sugli effetti del Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309/90) sul sistema penale, sui servizi, sulla salute delle persone che usano sostanze e sulla società.  La prova provata che, attuando la legalizzazione (o anche la semplice depenalizzazione) delle droghe leggere, l’affare lo farebbe proprio lo Stato (cioè noi).

In un colpo solo si riuscirebbe infatti a:

  1. Contrastare il commercio criminale di stupefacenti: stimare la dimensione economica dei fenomeni legati allo spaccio è sempre difficile (se non impossibile), ma tanto per intenderci sulle dimensioni nel 2020 stando al DPA lo spaccio di hashish e marijuana ha rappresentato il 39% del totale del traffico degli stupefacenti, e il mercato delle droghe leggere ha avuto un valore pari a 6,3 miliardi;
  2. Rimpolpare le casse statali con le tasse provenienti da un mercato legale (chi parla di 4, chi di 7 miliardi, la verità è probabilmente nel mezzo ma insomma: il guadagno per l’Erario è assicurato);
  3. A ridurre le spese, non indifferenti, legate alle operazioni di repressione, in particolare risorse investite per la magistratura carceraria (541 milioni) e per le azioni di pubblica sicurezza (228 milioni);
  4. E non ultimo a ridurre il sovraffollamento nelle carceri (la legge sulle droghe è il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana e nelle carceri: il 35% dei detenuti circa è “dentro” per droga), snellendo al contempo il funzionamento del sistema giudiziario nel complesso (230.000 fascicoli per droga intasano i tribunali italiani).

Gli effetti negativi di una possibile legalizzazione/depenalizzazione? Pochi, e tutto sommato secondari; gli effetti più temuti – incidenti stradali alle stelle e diffusione tra i minori e gli adolescenti – sono in generale smentiti o comunque ridimensionati dalle ricerche. L’esempio olandese, in particolare, dimostra che un mercato controllato fa aumentare le entrate fiscali ma non i consumi: il complesso regime di tolleranza del possesso e della vendita delle sostanze stupefacenti, che risale all’Opium Act del 1976, ha inaugurato la diffusione dei cosiddetti coffee shop e prodotto risultati nel complesso positivi. Soprattutto perchè lo Stato ha sviluppato parallelamente politiche di informazione, prevenzione e riduzione del danno, finanziate proprio dagli introiti generati dalla vendita legale di droghe leggere. Attenzione, infatti: è sbagliato pensare che lo Stato olandese sia favorevole alla cannabis. In verità, lo Stato – da quelle parti – è soprattutto pragmatico. Preferisce che alcune attività a rischio siano controllate, regolamentate e tassate, mentre altri Paesi le rendono clandestine.

Come dice qualcuno, cui mi unisco: “Se il termine ‘legalizzare’ significa regolamentare, controllare e vigilare, allora, sono pienamente d’accordo“. Non si può più far finta di niente, regalando alle mafie e alle organizzazioni criminali un mercato del genere. In tanti, in Italia, ormai la pensano così: ne è prova il referendum del 2021 ritenuto inammissibile dalla Corte costituzionale, espressione di una volontà popolare che non è più possibile ignorare.

Gli italiani, come spesso succede, sono più saggi dei loro legislatori, incompetenti e ipocriti come non mai. Sono venuti i tempi di politiche sulle droghe rispettose dei diritti umani e delle evidenze scientifiche – come quelle chieste dal movimento “Support, don’t punish” – e i cittadini una volta ancora l’hanno capito prima di chi li amministra.

Non sarà domani, non sarà dopodomani, ma ormai i giochi sono fatti: le legalizzazione è una necessità, e in quanto tale finirà per imporsi. Resta da vedere quando, ma una cosa è davvero certa: per qualcuno è venuto il tempo di accettare che le cose, anche in Italia, a volte cambiano davvero.

Per fortuna.

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