Il degrado del diritto italiano


Quando i giudici avevano le palle e iniziò il lavoro dei TAR – 40 anni fa, anno più, anno meno – il mondo della giustizia era tutta un’altra cosa: basti dire che prima delle udienze si discuteva di diritto, nei corridoi dei tribunali, con i Guarino, Lubrano, Sanino, Abbiamonte. In questo modo si imparava anche solo ascoltando, in silenzio, e assorbendo da competenze e intelligenze tanto illustri dialogare. Oggi, invece, il mondo si è ribaltato: in queste mille anonime sottosezioni si vedono solo giovincelli inesperti che masticano a malapena il diritto, abituati a scopiazzare sentenze senza più porsi domande e senza conoscere nemmeno la differenza tra interesse legittimo e diritto soggettivo. Per non parlare dell’approssimazione culturale di chi poi deve giudicare, su cui è meglio stendere il tradizionale velo pietoso! In questo sfacelo resiste, forse, solo il diritto amministrativo: ma solo perché si tratta di una materia un po’ più complessa, che richiede un grado di approfondimento spesso maggiore rispetto agli altri rami della disciplina. Ma, come ha detto qualcuno, non basta: ci sarebbe bisogno, innanzitutto, “di operatori più dotti e più eticamente attrezzati, meno tecnici e meno formalisti”.
Non si tratta, certo, di un fenomeno isolato (anche se questo fatto non mi consola per niente): questo degrado del processo fa il paio con il degrado generale della cultura, della scuola, delle università e della capacità reale delle persone di capire cosa serve per costruire una civiltà. Una civiltà: che è una cosa ben più complessa di un PNRR qualsiasi – ormai unico argomento di interesse generale.. Amen!

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