La stangata da 936 milioni? Ai petrolieri fa il solletico

Petrolio

Notizia recente: l’Antitrust ha inflitto una sanzione record da 936 milioni di euro a sei grandi compagnie petrolifere – Eni, Esso, Ip, Q8, Saras e Tamoil – accusate di aver fatto cartello sulla componente “bio” dei carburanti. Una multa che colpisce l’opinione pubblica per le dimensioni, ma che rischia di rappresentare poco più di un graffio per colossi abituati a fatturati da miliardi.

Il cuore della vicenda è chiaro: tra il 2020 e il 2023 le compagnie si sarebbero coordinate nel fissare il prezzo della quota “bio” da inserire nei carburanti, un obbligo normativo trasformato in occasione per tenere alti i prezzi. Non è un tecnicismo: significa – se confermato – che milioni di automobilisti hanno pagato di più senza saperlo.

“Ad esito della complessa istruttoria, avviata a seguito della denuncia di un whistleblower – ha spiegato ancora l’Autorità – è emerso che Eni, Esso, Ip, Q8, Saras e Tamoil si sono coordinate per determinare il valore della componente bio inserita nel prezzo del carburante (componente introdotta dalle compagnie per ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa in vigore). Il cartello ha avuto inizio il primo gennaio 2020 e si è protratto fino al 30 giugno 2023. Il valore di questa importante componente del prezzo è passato da circa 20 euro/mc del 2019 a circa 60 euro/mc del 2023”.

Le società coinvolte respingono le accuse, annunciano ricorsi, accusano di impedire la libera impresa, addirittura si indignano (!) e parlano di ricostruzioni arbitrarie. E vabbè, niente di nuovo: mai vista un’azienda che dica il contrario. Ma il punto non è la multa: il punto è che, ancora una volta, ci troviamo davanti all’ipotesi di un mercato poco trasparente, dove chi consuma è lasciato senza difese.

E qui sta il nodo: multe da centinaia di milioni sembrano enormi, ma per chi macina profitti miliardari rappresentano solo un fastidio contabile. Se davvero vogliamo cambiare le cose, servono strumenti più forti: poteri ampliati all’Antitrust, interventi rapidi e incisivi, e soprattutto un ruolo più attivo per le associazioni dei consumatori che da anni segnalano storture e cartelli di ogni tipo. Spesso, invano.

Perché i cittadini non possono ridursi ad applaudire quando arriva la maxi-sanzione: hanno bisogno che le regole del gioco cambino davvero. Che chi bara paghi non solo con una multa, ma con conseguenze capaci di scoraggiare davvero i comportamenti illeciti.

Anche stavolta, se confermate le accuse, saremmo davanti a una violazione gravissima che avrebbe prodotto danni economici enormi ai consumatori. Per questo stiamo valutando una class action contro le compagnie coinvolte, così da chiedere risarcimenti concreti a chi ha subito prezzi gonfiati e ingiustificati. Ma il vero problema è strutturale: senza poteri più incisivi all’Antitrust e senza il coinvolgimento diretto delle associazioni, questi giganti continueranno a muoversi indisturbati.

Insomma, la verità è che le multe, da sole, non bastano. Oggi ci accorgiamo che un obbligo ambientale, nato per favorire la transizione ecologica, potrebbe esser stato piegato a logiche di profitto. Domani rischiamo che accada lo stesso con altre componenti del prezzo dei carburanti o dell’energia, o di qualsiasi altro settore..

Ecco perché questa vicenda deve diventare l’occasione per una svolta: non solo punire a posteriori, ma prevenire, vigilare, dare strumenti veri ai cittadini e alle loro associazioni. Perché 936 milioni fanno notizia, ma la vera giustizia è pagare il giusto quando si fa rifornimento, e confidare in un mercato pulito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *