Cari Amici,
è ufficialmente scoppiato il “Dieselgate”, lo scandalo legato all’utilizzo da parte della casa automobilistica tedesca Volkswagen di un software che permette di modificare una serie di parametri di funzionamento delle vetture, così da rendere i valori delle emissioni in linea con i limiti imposti dall’ente americano per la tutela dell’ambiente, il potentissimo EPA.
Ricapitoliamo l’accaduto: a inchiodare il colosso ci ha pensato un gruppo indipendente, l’International Council on Clean Transportation (così qualcuno gli enti terzi..!), che insieme ai ricercatori della West Virginia University ha svolto nei mesi scorsi una serie di ricerche per capire come mai i risultati dei test di laboratorio su alcuni veicoli diesel Volkswagen fossero così discrepanti rispetto ad altre prove effettuate su strada.
Ecco svelato il misfatto: in pratica questa applicazione software illegale, battezzata “defeat device”, dispositivo di elusione, resta silente e disattiva durante il normale funzionamento del motore ma si attiva solo durante i test di verifica e di omologazione.
Apriti cielo: il titolo in borsa precipita, il danno d’immagine è incalcolabile, le conseguenze in termini ambientali del caso tutte da valutare. Secondo “The Guardian“, Volkswagen potrebbe essere responsabile di emissioni stimate tra le 230mila e le 950mila tonnellate di ossidi di azoto all’anno. L’impatto delle emissioni, rileva il giornale, potrebbe essere molto più elevato in Europa, dove quasi la metà delle auto sono diesel rispetto al 3% appena degli Usa.
Per Volkswagen è un disastro di dimensioni incalcolabili: basti pensare che sono almeno 25 le class action, le azioni collettive, già presentate in tutti i 50 stati Usa, contro Volkswagen. E ancora non sappiamo se lo scandalo si estenderà anche al mercato europeo, dove Volkswagen detiene una consistente fetta di mercato.
Tutto bene, dunque? Il bluff è stato sbugiardato una volta per tutte, la verità è venuta a galla, il bene ha trionfato? Niente affatto. Se non vogliamo sprecare quest’occasione, bisogna metterci in testa una cosa semplice: ovvero che il “Dieselgate” è solo la punta di un iceberg, la superficie emersa che serve a ricordarci di andare a fondo.
Lo sanno anche le pietre che da anni i test di omologazione delle auto riportano dati ben lontani dalla realtà: emissioni e consumi vengono “ritoccati” per strappare qualche zero-virgola nel competitivo mercato dell’automobile, ricorrendo a trucchi e artifici che i ben informati conoscono bene. Lontani dalla realtà, va bene: ma quanto? Tanto, troppo. Secondo la “European federation for Transport and Environment”, ente non-profit e indipendente dalla politica, le emissioni “reali” dei motori oggi in commercio sono superiori, mediamente, del 30% rispetto ai valori dichiarati dai costruttori per l’omologazione in Europa. Di un terzo! E il trend sarebbe addirittura in crescita, visto che nel 2001 il divario era pari all’8% ed è destinato ad aumentare fino al 50% nel 2020, se non vi saranno interventi da parte delle autorità.
Appunto, gli interventi: l’iceberg ci porta qui. Che si decida di creare un’autorità di omologazione europea veramente indipendente, o meno, è ora di muoversi: la partita è decisiva, se pensiamo che in Europa, secondo l’Oms, 9 cittadini su 10 respirano aria inquinata, centinaia di migliaia si ammalano, 600 mila muoiono per una patologia cardiocircolatoria o per tumore al polmone.
Non c’è tempo per bluff da quattro soldi, o soluzioni tampone.
A presto,
Carlo