Le grandi imprese fanno la cresta sull’inflazione?


Non c’è tregua: i prezzi continuano a rimanere altissimi, l’inflazione al 9,2% è una mannaia per le famiglie (equivale infatti a un maggiore esborso pari a 2.691 euro annui per la famiglia “tipo”, o 3.485 euro per un nucleo con due figli) e anche se qualcuno che evidentemente non frequenta i supermercati parla ottimisticamente di calo già avviato questo effetto ottico è dovuto solo alla rapida discesa dei beni energetici, mentre i prezzi del carrello della spesa e dei generi ad alta frequenza di acquisto continuano a salire. Ovvero: le tariffe da record riguardano i prodotti che più pesano sulle fasce di reddito più basse.

Nel frattempo, all’orizzonte non si vede nulla di buono: il 79% delle imprese prevede di aumentare i prezzi anche nel 2023. E neanche le notizie che arrivano da Francoforte, che ha scelto (tanto per cambiare) la linea dura, incoraggiano l’ottimismo: altri aumenti dei tassi di interesse, costo del denaro più caro e consequenziale “sabbia negli ingranaggi del motore della crescita economica“.

Le conseguenze di una situazione del genere le pagano, come detto, i più deboli: tanto che i consumi delle famiglie sono crollati ancora (dell’1,3% su base congiunturale, con picchi dell’1,9% per i beni durevoli). Le famiglie quando riescono tagliano i consumi non essenziali per pagare le spese obbligatorie, e quando non riescono tagliano anche il resto: razionano carne e pesce, cancellano o rimandano viaggi e spostamenti, hanno difficoltà a pagare cure, visite e spese mediche. Non potendo coniare denaro in cantina altro, evidentemente, non possono proprio fare.

Come previsto, insomma, il caro-bollette e l’inflazione alle stelle hanno avuto un effetto depressivo – un altro, dopo anni già nerissimi – sulla spesa degli italiani. Un allarme destinato purtroppo a proseguire anche nel 2023. Finalmente, però, qualcuno comincia a interrogarsi sulle cause di questa situazione, e ad accorgersi – noi lo diciamo da tempo – che si possono individuare responsabilità precise; in primis, quelle delle grandi aziende hanno alzato i prezzi ben al di sopra della crescita delle materie prime, aumentando i profitti mentre i consumatori pagano il conto.

La conferma è arrivata da un clamoroso scoop dell’agenzia Reuters che, citando documenti riservati della Banca Centrale Europea, ha dimostrato una cosa semplicissima: le aziende europee stanno sostanzialmente facendo la cresta sull’inflazione, aumentando i prezzi ben al di sopra degli aumenti delle materie prime.

Altro che inflazione da salari e domanda: ci troveremmo di fronte, in questo scenario, a un’inflazione incoraggiata e quasi indotta dalle corporation internazionali, ben contente di incassare profitti e dividendi da capogiro e scaricare la “colpa” sulla guerra, la congiuntura economica e altre entità astratte, aeree, distanti o comunque non contestabili. Ai soliti “furbetti” abituati a un sistema un po’ strano, fatto di perdite pubbliche e profitti privati.

La notizia è davvero importante, e dovrebbe dar vita a un intenso dibattito nazionale: invece è tutto fermo, i media nostrani muti e sordi, nessuno osa neanche pronunciare un discorso del genere. Che amarezza, davvero, per i consumatori (eternamente) vessati: ci sarà qualcuno, Meloni o non Meloni, disposto in Italia a parlare dei loro diritti e dei loro interessi?

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