Ciao Asor Rosa, gigante tra i nani


Se n’è andato, al crepuscolo di questo anno infinito e denso di fatti che non avremmo voluto vivere, anche Asor Rosa. Il più celebre ”palindromo” della letteratura italiana ci ha salutato a 89 anni, dopo una vita intera passata tra studio e lotta sociale, tra libri e ideali, senza mai accettare soluzioni “comode”, poltrone e opzioni al ribasso rispetto alle proprie, profonde, convinzioni.

Non sono molti in Italia gli uomini con la schiena dritta: in un Paese che ha alle spalle secoli di dominazioni straniere e abituato a servire, gli spiriti liberi – nel corso del tempo – si contano sulle dita di una mano. E un tempo così conformista – fatto di influencer onnipotenti, multinazionali prepotenti e impunite, cittadini imbavagliati e stressati da crisi continue – è ancora più difficile congedarsi dal pensiero comune e altrui, segnalarsi per qualche positivo contributo, sempre che la cosa abbia ancora senso, alla società civile.

C’è chi è nato servo o, per dirla con Victor Hugo, “c’è gente che pagherebbe per vendersi. Stando così le cose – e le cose stanno davvero così, purtroppo – la capacità di chiamarsi fuori, di dire no, di sbattere la porta si fa in qualche modo commovente, toccante, unica e rara. Ecco cosa mi importa ricordare, di Asor Rosa: le violente rotture, le polemiche intelligenti, la scelta di non compiacere altri che la propria fertile, inesausta, intelligenza. La fermezza che l’ha portato a non cedere mai alle lusinghe del potere, a esprimere sempre opinioni critiche e laterali nei confronti della politica politicante, di destra come di sinistra.

Perdiamo un uomo libero e una persona per bene, ed è una perdita dolorosa e profonda per la cultura e per la letteratura italiana (che, già di per sé, versano in una condizione comatosa). Dal canto mio, non ci provo neanche a nasconderlo: mi ha molto colpito la sua scomparsa. Ci conoscevamo da tempo, ci siamo visti tantissime volte, posso definirci amici e grandissimi estimatori reciproci. Ci stimavamo e ci parlavamo spesso, da punti di vista diversi – io legato al Codacons e alle battaglie per i cittadini, lui ai suoi studi e ai confronti politici e culturali – ci siamo accompagnati, non ci siamo mai persi di vista e nel tempo ci siamo accorti di guardare al mondo allo stesso modo. L’ultima volta che l’ho sentito, una settimana prima che la sua vita si spegnesse, mi ha lasciato con un invito: “quando torno a casa devi venirmi a trovare”. Io lo farò, senza alcun dubbio, dentro di me: in questa sala d’attesa che è la vita si fanno poche conoscenze davvero interessanti, e quelle che accadono vanno custodite nella propria anima come un dono.

Mentre però mi impegno a farlo, come ho fatto, non riesco tacere su un fatto vergognoso, uno specchio dei nostri tempi: alla morte di un gigante come Asor Rosa è stato dedicato qualche articolo, un trafiletto qui, una foto là, qualche coccodrillo pronto da chissà quanto e poi la notizia si è subito spenta. Nulla capace di restituire la statura dell’uomo, nulla in confronto al suo contributo alla società. Sentiamo invece parlare di continuo di gente che nessuno sa chi sia, starlette e attorucoli, fidanzate di e figlie di, compositori che non compongono e talent show senza talento, giornalisti ammaestrati e politici trasformisti. Siamo bombardati dal nulla, e le notizie vere quasi non si vedono più. Una cosa che mi ha lasciato esterrefatto: una vita intera di impegno e generosità, liquidata in un paio di giorni e in un paio di pagine. E parliamo di un gigante della nostra cultura e della nostra storia recente: ormai neanche la scomparsa di persone così dotate e così per bene, così allergiche al conformismo e alla prostituzione intellettuale, riceve più un’attenzione sufficiente.

Il dubbio, a pensarci, viene: forse i media nostrani si vergognano e si spaventano, al cospetto di ingegni di tal fatta, di uomini tanto diversi dalla norma. Io lo sospetto, e – fosse vero – farebbero bene a vergognarsi: dall’alto si vede benissimo, chi è un gigante e chi sono i nani.

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