Ben vengano i test psicologici sui magistrati!


Ormai è storia nota: ogni volta che qualcuno prova a cambiare qualcosa all’interno della magistratura, parte subito un fuoco di fila spaventoso in difesa di questo piccolo, ma potente, corpo sociale.

Mentre a rider, fattorini, infermieri, operai e chi più ne ha, più ne metta può essere inflitta qualsiasi vessazione – addirittura prendendogli il tempo quando vanno al bagno – guai a sfiorare la magistratura e le sue eterne abitudini, pena un cannoneggiamento quotidiano – sostenuto a spron battuto dai media – per restaurare lo status quo.

Eccoci dunque al punto dolente. Lo dico subito, così da spazzare via ogni equivoco: ben vengano i test psicologici sui magistrati!

Io non trovo niente di sbagliato nella proposta del governo – governo che critico per altri versi da mattina a sera: vedasi alla voce inazione sul caro-prezzi – e anzi la ritengo assolutamente ragionevole.

Mi spiego: i giudici godono oggi di impunità quasi assoluta, perchè di fatto il giudizio sul loro operato proviene dai loro colleghi. Le obiezioni di alcuni, ricorrenti in questi giorni, cadono nel vuoto e non centrano il punto: in gioco non è l’autonomia della magistratura, e chiamarla in causa ogni volta significa strumentalizzare un tema realmente importante.

In molti, come ampiamente preventivabile, sostengono che i test ai magistrati non vanno fatti per nessuna ragione al mondo; oppure in alternativa vanno fatti “anche ai politici“, comprensivi di “alcol e droga”. Parole e musica, in questo caso, di Nicola Gratteri.

Ora: non si rende conto, Gratteri, che mentre un giudice decide della sorte di un cittadino da solo nella Camera di Consiglio – e se non sta bene con la testa produce un danno gravissimo, esistenziale, irrimediabile – e non ha neanche la legittimazione che deriva dall’elezione popolare, i politici e i parlamentari – che pure dovrebbero essere controllati sotto tanti, tanti aspetti! – sono eletti e scelti dal popolo, e non possono far danno “individuale” in virtù del loro numero. Certo, i politici possono sbagliare le leggi (e lo fanno di continuo), ma il loro eventuale “errore” esprime un punto di vista popolare e ha natura collegiale.

Tra le due situazioni non c’è quindi alcuna attinenza, e chiamare in causa paralleli del genere è un atto di populismo: i magistrati dovrebbero smetterla di arrampicarsi sugli specchi e accettare qualche controllo aggiuntivo sul loro operato, senza lanciarsi in paragoni che non stanno né in cielo né in terra, senza pretendere di essere esentati in virtù del loro status, senza arroccarsi in difesa dei propri privilegi.

I tempi sono cambiati: accettare di sottoporsi a qualche verifica non farà che accrescere la fiducia collettiva nella magistratura e nel suo operato.

Lo capiranno mai, i Gratteri di questo mondo?

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