93.000 morti l’anno per il fumo, e lo Stato.. Incassa!


Per parlare di fumo e di conseguenze sulla Salute e sull’Economia dello Stato bastano due dati, uno dopo l’altro. L’istantanea che ne esce è quella di un Paese con una specie di disturbo bipolare:

  1. In Italia si stima che siano attribuibili al fumo di tabacco oltre 93.000 morti (il 20,6% del totale di tutte le morti tra gli uomini e il 7,9% del totale di tutte le morti tra le donne) con costi diretti e indiretti pari a oltre 26 miliardi di euro: una vera e propria strage.
  2. Le entrate dello Stato garantite dalle accise sui tabacchi sono passate dai 10,23 miliardi di euro del 2015 ai 15 miliardi di euro stimati per il 2023, con un incremento di 4,77 miliardi di euro (+46,6%): una montagna di soldi.

Sul piano della Salute, le cose non vanno per niente bene: tra il 2015 e il 2022, in base ai dati ufficiali dell’Iss, il numero di fumatori è sceso solo di 1 milione, passando da 11,5 milioni di persone (il 22% della popolazione) a 10,5 milioni (il 20,5% della popolazione). Gli ultimi report contengono segnali inquietanti: come l’aumento del numero medio delle sigarette fumate (12,2 sigarette al giorno, con un quarto dei fumatori supera le 20). Senza contare che le stime sul numero di morti attribuite al fumo diventano sempre più pessimistiche (erano 75.000-80.000, sono 93.000 l’anno). Il fumo di tabacco, infatti, è una causa nota o probabile di almeno 27 malattie, tra le quali bron­copneumopatie croniche ostruttive e altre patolo­gie polmonari croniche, cancro del polmone e altre forme di cancro, cardiopatie, vasculopatie. 

Il discorso dovrebbe finire qui, ma non possiamo dimenticarci dell’altro versante: quello dell’Economia, dove – davvero – pecunia non olet. Facciamo, allora, i conti della serva per le casse pubbliche: i costanti aumenti delle accise sui prodotti da tabacco introdotti negli ultimi anni (il più recente è di questi giorni) e l’ingresso di nuovi dispositivi (come quelli da inalazione o a tabacco riscaldato) hanno portato a una crescita delle entrate statali garantiti dalla tassazione sulla sigarette. Soldi, soldi, soldi.

Basti pensare che, tra le marche più diffuse:

  • un pacchetto di Camel blue nel 2015 costava 4,60 euro contro i 5,40 euro odierni, con un aumento del +17,4%;
  • le Philip Morris Red sono passate da 4,50 a 5,30 euro (+17,8%),
  • le Rothmans da 4,20 a 5,00 euro (+19%).
  • un pacchetto di Dunhill International raggiunge oggi il prezzo di 6,70 euro.

Insomma, il trend è chiaro. I listini delle sigarette crescono senza sosta, ma la cosa ha effetto solo sui conti dello Stato: non certo sulla salute pubblica, che anzi patisce sempre di più gli effetti del tabagismo e dei prodotti correlati. Oltre a intervenire sui prezzi – con innegabili vantaggi per le casse statali – come va di moda in questi anni, serve avviare una battaglia serrata al fumo e alla dipendenza da fumo. Servono misure davvero efficaci che allontanino i cittadini, soprattutto i giovani, dalle sigarette. Bisogna sradicare, una volta per tutte, questa piaga sociale che infligge ferite gravissime alla collettività.

La domanda – chiarito che l’obiettivo non può che essere questo – è solo una: visto che ci si riempie le tasche, la battaglia contro il fumo questo Stato qui la farà mai? La farà mai un’amministrazione che, quando si tratta di sigarette e affini, puntualmente – lo cantava De André in un dialetto che conosco bene – “si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità“? Ho più di qualche dubbio: ma se anteponiamo i soldi al benessere delle persone, il nostro destino come comunità è già scritto.

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