Basta figli acchiappa-like, basta Truman Show


Quelli bravi lo chiamano sharenting: un termine che nasce dall’unione dei temini inglesi to share e parenting, e che indica l’attività di condivisione online da parte di genitori e familiari di materiali – immagini, video, storie, dati sensibili – sui propri figli. In ogni fase della crescita: letteralmente, dalla culla in poi. Per me, che sono più all’antica e più schietto, sono quelli che usano i figli come strumento acchiappa-like: gente capace di mettere in vetrina qualsiasi momento intimo a beneficio di una massa di follower a volte noti ma molto spesso meno noti, disposta a immortalare con lo schermo dello smartphone anche un vagito, un pianto o un ruttino del pargolo per garantirsi qualche interazione in più.

Che qualcosa – e non solo da noi – sia sfuggito di mano sul piano della diffusione di foto di minori sul web, è evidente a molti – che da tempo denunciano la gravità della situazione e i rischi che ne derivano. «In media un bambino appare su 1300 fotografie pubblicate on line prima dei tredici anni, che siano profili suoi o dei genitori», ha riportato il deputato macronista Bruno Studer mentre presentava il progetto di legge per vietare la pubblicazione di immagini di minori sui social all’Assemblea nazionale francese. Dalle nostre parti ne sappiamo qualcosa: influencer influenti e ricchissimi attuano una sovraesposizione mediatica completa e sono ripresi dalla mattina alla sera dalle principali testate nazionali, intente a capirci qualcosa più pappe e vestiti griffati che di caro-bollette, guerra in Europa e cambiamento climatico. Fino al punto di obiettare al bambino che protesta: «Solo un minuto, fai un sorriso e poi hai finito». Come loro (a cascata) tantissimi emuli, entusiasti di riempire la rete con immagini, video, storie in cui i figli sono più o meno sempre costretti a svolgere il ruolo di protagonisti dei contenuti social dei genitori.

Un fenomeno estremamente pericoloso: la ragione per dirlo è auto-evidente. Le foto dei minori finiscono senza alcun controllo sulle piattaforme nonostante i bambini non possano esprimere il proprio consenso, e soprattutto col rischio che le immagini finiscano nelle reti dei pedofili o siano utilizzate per fini illeciti. Infatti, «il 50 per cento delle foto che si scambiano sui siti pedopornografici era stato inizialmente postato dai genitori sui loro social»: i dati parlano chiaro. In un mondo in cui le violenze contro i minori sono in crescita, assumersi un rischio del genere è davvero da irresponsabili. Il periodico Atlantic ha raccontato la seguente storia, davvero da brividi: una blogger aveva pensato bene di pubblicare le foto dei suoi gemelli mentre imparavano a usare il vasino, salvo poi scoprire che quelle immagini erano state rubate, scaricate, ritoccate e condivise su un sito usato dai pedofili.

Chi pubblica le foto dei propri figli, insomma, potrebbe metterli a rischio. Un pericolo purtroppo sempre presente, direttamente proporzionale al numero di follower di chi condivide le immagini sul web – violando la privacy dei minori, spesso a scopi commerciali: mercificare l’immagine dei bambini significa insomma anche esporli a dei pericoli concreti.

Per questo, ora, qualcosa comincia a muoversi. Ora, finalmente, dopo la Francia sembra toccare anche a noi: si apprende infatti che l’Autorità garante per i diritti dell’infanzia ha posto all’attenzione della premier Giorgia Meloni la questione, ai fini dei dovuti provvedimenti da intraprendere per tutelare la privacy dei minori. Un intervento doveroso ma estremamente tardivo, e pure un po’ incomprensibile: in Italia le norme che vietano di pubblicare sui social le foto dei minori infatti esistono già; il fatto semmai è che nessuno le applica. Basti pensare alla Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia, o alla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del minore del 1996, e alla Carta di Nizza del 2000: norme che tutelano la privacy e l’immagine dei minori ma che vengono costantemente violate sotto al naso del Garante dell’Infanzia che, seppur sollecitato attraverso esposti e segnalazioni, non è mai intervenuto per sanzionare i comportamenti scorretti.

Sarà la volta buona per fermare questo infinito Truman Show, garantire la riservatezza dei minorenni e restituirli alla loro infanzia?

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