Santità, ma lo ha visto il film “Io capitano” prima di ricevere Matteo Garrone?


Santità, ma lo ha visto il film “Io capitano” prima di ricevere al soglio Matteo Garrone?

Io me lo chiedo, ma devo innanzitutto spiegare perché le pongo proprio questa domanda: lo faccio perché la terribile verità che il film porta con sé non sempre può essere esplicitata con crudezza in una pellicola visibile anche ai bambini o ragazzi di 14 anni.
Il cinema non può essere esentato da quegli elementari doveri che competono a tutti noi adulti: genitori, nonni o solo comunicatori. Se la realtà che il film descrive (correttamente quanto ai contenuti) contiene anche la crudeltà, le atrocità, il sangue umano che scorre dappertutto… Chi fa il mestiere di comunicatore deve – ripeto: DEVE – porsi il problema degli effetti che essa potrà avere sui più giovani spettatori. Un dovere morale di cui in questa circostanza non c’è traccia: si assiste invece nel film a violenze di ogni tipo, contro i migranti che – vittime della sporca corruzione della polizia libica e dei criminali trafficanti di essere umani – vengono legati e appesi a testa in giù al soffitto e torturati con fori nella pelle, olio bollente e coltelli nella carne. Con tanto e tanto sangue che scorre dappertutto, condito da barbare uccisioni a freddo di esseri umani innocenti. Elementi che, anche se raffigurano una realtà, devono -a mio modesto avviso -essere rappresentati in un modo adeguato alle fasce d’età che saranno poi coinvolte nella narrazione, rispettando le fasi di vita e di apprendimento di ognuno: andava evitata invece, con rigorosa attenzione, la bramosia del sangue e della violenza pura che caratterizzano oggi in negativo tanta parte della nostra società.
Si legge sull’enciclopedia Treccani:

Il Grand Guignol era il culto della verità bruta, del fatto di cronaca d’apparenze fotografiche ma in realtà contemplato con – spirito pessimista, cinico, brutale, che condusse alcuni drammaturghi francesi di quel gruppo al compiacimento nel truce, nell’orrido, nel mostruoso, in sé e per sé. Questi autori, spesso medici o avvocati penalisti, attinsero dai manicomî, dalle prigioni, dai bassifondi sociali, casi spaventosi non più con gl’intenti “redentori” dei romantici o dei propugnatori di riforme morali e civili, ma solo per suscitare materialmente nello spettatore il brivido del terrore, rappresentando, o facendo intravedere, spasimi di torture, funeree suggestioni spiritiche, atrocità compiute da pazzi o da idioti o da aguzzini, rimorsi di natura fisica, angosce di impotenti spettatori d’un delitto, stimmate di morbi crudeli, ecc. Il genere, anche grazie ai facili effetti che gl’interpreti possono ottenervi, ha avuto lungo successo presso il gran pubblico.

Quello di Garrone è quindi un culto della verità bruta, un Grand-Guignol? Anticipo l’obiezione: ma non è che Garrone con il suo racconto brutale intendeva proporsi come “redentore”? Voleva magari, proprio attraverso un’immersione violenta in una realtà orribile, propugnarne una riforma civile e morale? Beh, se è così, la strada che ha seguito – Santo Padre – a mio personalissimo giudizio di persona semplice, non è meritevole di un ricevimento al soglio pontificio.

C’era e c’è modo di discutere diversamente degli stessi argomenti, e di mostrarli in un modo differente. Anni fa la trasmissione Report (in una puntata, intitolata significativamente “Un mare di ipocrisia“) raccontò la stessa tribolazione: quella cioè di migranti disperati, costretti a viaggi interminabili subendo ricatti e corruzioni… Ma tutti possono vedere quello splendido servizio. La giornalista che lo firmò ha meritato l’assegnazione, da parte nostra, del Premio Amico del Consumatore per la misura di cui diede prova e il meritorio scopo raggiunto: illuminare la comprensione del fenomeno con un linguaggio adatto a tutti senza fare sconti a nessuno.

Tutt’altro, invece, il discorso su Garrone – che “gode”, con un evidente esibizionismo, della crudeltà e la mostra senza orpelli a tutti coloro che a qualsiasi età acquistano un biglietto del cinema. Male, anzi malissimo. E tutto, come era per gli autori del Grand Guignol, per fare audience e conquistare la morbosità degli spettatori. Spettatori che in questo secolo, con la complicità micidiale dei social, non cercano altro che orrore e sangue – di chiunque capiti: sia buoni che cattivi, non fa differenza.
Ma Santo Padre la verità non ha bisogno di esibizione del male; siamo tutti in grado di percepirla e migliorarci senza valicare il delicato confine tra spettacolo e sadismo interiore che – nel corso di questa epoca che viviamo – assilla un po’ tutti. Anche perché la nostra realtà è già abbastanza violenta di per sè: il clochard ucciso a Napoli, le mucche uccise a frecciate e macellate a Roma, la capretta uccisa a calci ad Anagni, il cane accoltellato dai ragazzini a Taranto, l’assassinio in pieno centro a Bologna, stanno  a testimoniarlo. Ce ne sarebbero centinaia, migliaia di casi e notizie da citare. Senza parlare dei femminicidi, con il corpo trovato nel muro della casa e un’intera galleria degli orrori che ogni anno si ripete.

Allora – di fronte a tutto questo, a questa realtà oscena che ci troviamo a vivere ogni giorno – io Le chiedo, Santità: secondo Lei è giusto che certe scene del film siano piazzate lì per essere viste da chiunque? Non si contribuisce in questo modo, magari, a incoraggiare o determinare altra crudeltà e altro sangue? Confesso che sono a mia volta dubbioso sulla risposta e per questo vorrei aprire un dibattito fuori e dentro me stesso.

Forse non era necessario, per far emergere la terribile verità storica che il film vuole far conoscere, mostrare uomini appesi a testa in giù e torturati a sangue – fino a morire- come fossero insetti schiacciati. E forse Garrone poteva fare meglio e dare più spazio – anziché alla orrenda fantasia (scene del film davvero ridondanti e inutili) della donna morta nel deserto, vittima dei trafficanti senza scrupoli, che “vola” al guinzaglio del giovane sedicenne migrante, o compare nella immaginazione delirante dei protagonisti – alla splendida solidarietà umana che circola tra questi sventurati. Solidarietà nobile e preziosa, che per tutto il tempo del film si sente e vede… Poco… O almeno, resta sullo sfondo.

Il regista poteva cogliere infine l’occasione per spiegare che – al di là di casi rari, di chi sfugge alle guerre e persecuzioni viaggiando verso l’Europa – coloro che affrontano quelle innegabili sofferenze spesso, nella terra d’origine, sono paradossalmente dei benestanti (nel film, la mamma del protagonista possiede un negozio di alimentari al mercato). Solo i benestanti infatti – pur in un senso molto relativo rispetto ai nostri standard – possono mettere da parte nel tempo le migliaia di dollari che servono per pagare i trafficanti di uomini. Per le fasce più basse della popolazione, in Africa, è impossibile partire come Said.. E meno male, per una volta: almeno – con un ribaltamento di senso assoluto – in questo caso la povertà finisce indirettamente per salvare la vita di chi ne è afflitto e non contribuisce a fomentare il crimine orrendo del traffico di uomini. Un crimine contro l’umanità e una vergogna per le persone civili: ma questo, Santità, è un discorso lungo e complesso. Una faccenda difficile, per cui non mi permetto certo di sottrarLe altro tempo e di distogliere oltremodo la Sua preziosa attenzione. Con grande stima e simpatia mi sono permesso questa missiva e approfitto per inviare ogni migliore augurio di lunga vita.

Carlo Rienzi

Presidente del Codacons

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