Cari amici,
per comprendere il benessere del nostro Paese, basta guardare quello che abbiamo a tavola, o ancor prima, cosa compriamo al supermercato.
Gettando un’occhiata retrospettiva, ci accorgiamo che in poco meno di 10 anni le nostre abitudini alimentari non sono più le stesse. Nielsen, l’istituto di ricerca che studia le tendenze dei consumatori, ci mostra un’Italia – ancora una volta – biforcata.
Le famiglie del Nord e del Centro spendono di più, acquistando cibo di alta qualità. In Lombardia, ma anche in Trentino, Emilia-Romagna, Liguria, Veneto e Toscana prodotti come il salmone affumicato, gli affettati e le birre rosse appartengono al repertorio (culinario) quotidiano.
La storia cambia per il Mezzogiorno, dove spesso si preferisce acquistare bottiglie di acqua naturale al posto dei meno economici yogurt magri o del latte. Certo, a riempire il carrello non aiuta l’incremento dei prezzi di molti alimenti al quale non corrisponde proporzionalmente un aumento dei redditi!
E qui bisogna aprire una parentesi: negli anni precedenti il divario tra la parte alta e quella bassa dello stivale si aggirava attorno ai 800/900 euro al mese per famiglia. Ora tra crisi economica e disoccupazione persistente il divario è decollato a 1000 euro. Non a caso i piccoli discount hanno maggior successo di pubblico, mentre i supermercati si affannano a lanciare promozioni e offerte con cadenza settimanale. “Lunga vita al low cost!”, dunque! E se “un bicchiere di vino con un panino” simboleggia la felicità, meglio che nel panino ci sia mortadella e non prosciutto crudo, essendo quest’ultimo notoriamente più caro.
C’è però anche più di un’eccezione alla regola generalizzata del risparmio incondizionato: la moda dei prodotti bio, un fenomeno che interessa l’intera penisola. Da Nord a Sud è cresciuto il consumo di prodotti integrali, a base di farro e di farina di kamut (l’asticella segna +23%). Stesso dicorso per i prodotti privi di glutine, le cui vendite sono salite fra il 20% e il 90%. Segno di un cambiamento radicale rispetto al passato, dove i prodotti più tradizionali vengono quasi quasi lasciati nel dimenticatoio per far, infine, spazio a piatti già pronti (+33%) e salumi in vaschetta (+40%). Ma come interpretare dati apparentemente contrastanti?
Oltre allo stile di vita (più frenetico e quindi meno propenso ai manicaretti impegnativi che costringono a stare ore e ore in cucina), l’altro fattore condizionante è l’aumento delle famiglie mononucleari, per cui capita (sempre più spesso) che si spendi poco, ma bene. Insomma, l’arte dell’arrangiarsi viene praticata in tutta Italia, e se c’è una cosa che ancora la crisi non ci ha tolto è proprio la virtù – laddove possibile – di mangiar sano.
A presto,
CR