Cari amici,
incredibile, ma vero: l’Apple ha ricevuto una maxi stangata da versare al governo irlandese. Era ora!
L’Unione Europea, in seguito a un’indagine avviata nel 2013, ha colto in flagrante il colosso multinazionale, reo di aver “evaso” in un certo senso le tasse, un totale di 13 miliardi di imposte arretrate (mica spiccioli, insomma); nei fatti, si tratterebbe di aiuti di Stato: ed è incredibile che si senta il bisogno di “aiutare” un colosso come Apple, che di soldi – non c’è dubbio – ne fricava abbastanza di suo. E come li aiutavano? Secondo l’indagine della Commissione, nel 2003 le aziende collegate ad Apple – grazie al complicato meccanismo concesso dal governo di Dublino – pagavano un tasso effettivo dell’1% nel 2003, sceso allo 0,5% nel 2001 e addirittura allo 0,005% nel 2014.
Grazie a una struttura complicata – come sempre succede in questi casi – basata sulle due società Apple di diritto irlandese (Apple Sales International e Apple Operations Europe), i clienti che compravano prodotti in Europa – di fatto – li acquistavano da queste due società (e quindi le imposte non restavano nei Paesi in cui si trovava fisicamente il prodotto). Il problema è che i loro profitti non subivano l’imposizione fiscale irlandese: solo una piccola parte. Il resto veniva dirottato nella loro «sede centrale» che, come ha spiegato la Commissione, «non aveva né dipendenti né uffici propri e non era ubicata in nessun Paese». Quindi faceva guadagni totalmente tax free.
Lo scandalo non finisce qua. Non si tratta infatti di un trattamento di favore di breve durata! Risale al 1991, anno in cui venne stipulato il primo accordo fiscale con Apple (nel 2007 sostituito da un altro simile).
Insomma Apple avrebbe ricevuto aiuti illegittimi, mettendo in cantiere un bel po’ di soldini. A contar bene, si va ben oltre i 13 miliardi, ma la competenza della Commissione per chiedere la restituzione degli aiuti di Stato illegittimi non può spingersi oltre i dieci anni precedenti l’avvio dell’indagine. Quanto avvenuto prima del 2003 è quindi considerato “prescritto” (e quindi tanti saluti al gruzzoletto precedente); mentre il periodo “incriminato” si arresta nel 2015, anno in cui Apple ha modificato le sue strutture aziendali.
Il Governo irlandese non l’ha affatto presa bene, e – con una sfacciataggine davvero clamorosa – ha accusato Bruxelles di intromissione indebita. C’è poco da esser sfacciati, perché la Commissione europea non può tecnicamente intervenire sull’autorità fiscale dei singoli Stati, ma può dire la sua (eccome!) in caso di concorrenza sleale e di favoritismi illeciti. E qui, a quanto pare, ce n’è a palate.
Una parola in favore della UE, stavolta, va spesa. In questa vicenda l’Unione Europea ha mostrato il pugno duro, senza cader facile preda – come spesso accade – di lobby multinazionali che sperano di farla franca grazie ai monopoli finanziari di cui dispongono a piacimento. Una dura lezione che restituisce, in un periodo non paticolarmente felice, un po’ di credibilità a quella che più che UE sembrerebbe un’accozzaglia di Stati neanche troppo solidali l’uno con l’altro!
A presto,
CR