DISASTRO AMBIENTALE


Quello accaduto a Pomezia è un vero e proprio disastro ambientale. Niente mezze misure, niente “aspettiamo”, “valutiamo”, “è presto per dirlo”. Certo, sarà l’inchiesta a chiarire le ragioni dell’accaduto, sarà la giustizia (come sempre) a gettare piena luce sui fatti e le responsabilità. Ma qualcosa, intanto, possiamo già dire.

LE FIAMME. L’incendio – di dimensioni terribili, come si vede in queste immagini – ha riguardato la EcoX di Pomezia, un’azienda di stoccaggio di rifiuti. Gli stabilimenti si trovano al chilometro 33 della Pontina, appena a sud di Roma. Il problema principale è rappresentato dal fatto che l’impianto è (o era) pieno di materiali a rischio: sedie, materiale edilizio, metalli. Ma soprattutto tanta, tanta plastica. Ecco perché il fumo nero che si è sprigionato, e che è stato a lungo visibile addirittura dalla Capitale, fa tanta paura: visto anche che la nube scura, cambiato il vento, ha invaso il piccolo Comune e poi il litorale e i quartieri meridionali di Roma.

SI POTEVA EVITARE? Stando alle notizie emerse in questi giorni, i residenti avrebbero più volte segnalato al Sindaco di Pomezia e al capo dei Vigili Urbani i rischi derivanti dall’accumulo di plastica e immondizia nel cortile della società, senza tuttavia ottenere alcuna risposta. Per questo bisogna verificare se le istituzioni locali abbiano avuto eventuali responsabilità nell’incidente, e capire se sia stato fatto tutto il possibile per evitare l’incendio.

LE CONSEGUENZE. La priorità è la tutela della salute dei cittadini. Anche perché, se un manager della Eco X di Pomezia aveva subito escluso il rischio amianto sul tetto, si è rivelato subito vero il contrario: puntualmente l’amianto c’era. E se autorità e istituzioni continuano a mantenere un profilo basso, e a ripetere che non ci sono rischi, qualcuno non è d’accordo. “Dire che ad oggi è tutto sotto controllo è inutile e dannoso”, ha detto per esempio Roberto Scacchi, che non è proprio uno qualunque visto che di lavoro fa il presidente di Legambiente Lazio. E a quanto pare i dati lo confermano: ancora il giorno dopo il rogo i livelli di pm10 nell’aria nelle immediate vicinanze all’impianto erano più alti di quasi il triplo rispetto alla soglia di rischio. Non male, no?

IL RACCOLTO. Last but not least, il disastro è completato dalla questione dei raccolti. Adesso bisogna a tutti i costi evitare che alimenti potenzialmente pericolosi finiscano sulle tavole dei consumatori. Per questo abbiamo chiesto di disporre il sequestro di tutti i beni ortofrutticoli, vinicoli, lattiero-caseari e di altra natura coltivati e prodotti nell’area investita dalla nube, fino a che non ci sarà assoluta certezza circa l’assenza di possibili contaminazioni tossiche. Ovviamente le aziende del comparto che dovessero subire danni economici potranno rivalersi sui responsabili che saranno individuati dalla magistratura: Coldiretti infatti parla di emergenza anche per le 150 aziende agricole colpite dal divieto di raccolta di ortaggi e pascolo in “una area coltivata di circa 4mila ettari di terreno”.

Insomma: gli elementi ci sono tutti, per parlare di disastro ambientale. Già adesso. Ecco perché abbiamo scelto di intervenire subito: perché è nostro dovere farlo.

CR

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