Che tenerezza il cinema italiano!


Cari amici, per staccare un secondo dall’onnipresente e ansiogeno argomento bellico prendiamoci un istante per ragionare sullo stato di torpore, o di vera e propria sonnolenza, che caratterizza ormai il cinema italiano.

Questo settore della nostra vita culturale, un tempo capace di esprimere prospettive uniche, visioni laterali e oniriche, bagni di cruda realtà destinati a gloria eterna, questo orgoglio italiano di musiche, costumi, intuizioni e talento, di fondali epici e di umanissimi protagonisti che li popolavano, è ora costretto a languire e vivacchiare, a campare alla giornata, a dirsi perpetuamente – come il Paese che lo esprime – “in ripresa”.

Che tenerezza, il cinema italiano: incapace com’è di esprimere prodotti validi, ancora nostalgico di un’età dell’oro che non tornerà più, provincializzato e secondario nel grande mondo globale, si è ridotto a incassare sonore bocciature o – peggio ancora – diffuse indifferenze in occasione di tutti i principali Festival internazionali: Venezia, Cannes, Oscar e così via. E d’altra parte, come si fa ad agganciare il pubblico internazionali con film (troppo) spesso personali e privi di messaggi generali o comunque stimolanti, oppure ancora ingarbugliati e oscuri o macchinosi, molto spesso più lenti, noiosi e confusionari di quelli proposti dai concorrenti all’estero?

Gli unici riconoscimenti che il nostro cinema raccoglie, ormai, se li assegna da solo (o quasi): e l’esempio dei David di Donatello, in questo senso, è lapalissiano. Un mondo in crisi che incensa sé stesso e i propri prodotti in chiave sistematica, enormizzando tutte le proprie imprese, non lascia ben sperare: basti pensare all’affaire Sorrentino, che ormai in Italia pare l’unico regista in circolazione ed è bersagliato da una reverenza collettiva che neanche Il Sommo Poeta.

Un fatto è certo: un cinema incapace di criticarsi è (e sarà) incapace di rinnovarsi. La nostra speranza, come spettatori, è proprio questa: che i signori che governano la cultura in Italia si accorgano che qui da noi non si produce qualcosa di esportabile da una vita, e non si tornerà a farlo in assenza di idee, progetti, autocritica feroce, persone nuove. Che si sbrighino, però: o tra un po’ non rimarrà granchè – malinconie passatiste a parte – da cui ripartire.

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