Alla fine è arrivato, strombazzato dai nostri giornali a ogni ora del giorno e della notte, il mastodontico piano di riarmo dell’Europa – che, scopertasi improvvisamente indifesa nel bel mezzo di una guerra sul suo territorio, si è pure accorta di contare al Risiko del mondo come il famigerato due di coppe quando comanda bastoni.
Che ReArm sia, quindi (con buona pace di chi ha provato fino all’ultimo a cambiargli nome): una pioggia di soldi dovrà irrigare lo sviluppo della difesa europea, addirittura 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni per essere proprio sicuri sicuri (ma sarà così?) che Putin non voglia raggiungere, un giorno, Lisbona. Un’enormità monetaria mobilitata per la causa dei cannoni, roba da capogiro: ma è bastato dire che la cosa era necessaria, che non se ne poteva proprio fare a meno, e voilà: dopo una vita d’austerità, gli investimenti necessari si sono prontamente materializzati. Detto, fatto (con procedura d’urgenza..).
A spulciare i dettagli del piano, emerge quasi subito un fatto che, alle nostre latitudini, è davvero insolito: i Paesi dell’UE potranno incrementare in modo significativo la spesa militare senza essere soggetti ai vincoli imposti dal Patto di stabilità e crescita, ovvero le rigide regole europee sulla disciplina fiscale e di bilancio che hanno governato le nostre vite nell’ultimo trentennio. E anzi, ci saranno anche risorse fresche (comunitarie) a completare il quadro. Un liberi tutti che smentisce quanto finora ripetuto da mattina a sera, ovvero che i soldi non ci sono e non c’è modo di trovarne.
Ora, a meno di non essere proprio ciechi del tutto, è impossibile non accorgersi di un fatto: quando certe priorità dominano le teste di chi ci guida, non c’è scusa che tenga e i dané, come in questo caso, saltano fuori. Tutte le litanie sull’austerità, sul risparmio al centesimo, sulla cialtroneria di chi spende e spande allargando le voragini dei conti pubblici e tutti i blablabla sulla crisi in atto finiscono nel dimenticatoio quando serve, quando urge, quando decidono a Bruxelles e dintorni. Così è, se gli pare.
Per le tante catastrofi economiche di questi anni (ricordate la Grecia? E che dire dei dati sulla povertà in Italia, come in tanti altri Paesi europei segnati dalle disuguaglianze?), per la sanità, per i problemi sociali, per i ceti più svantaggiati, invece, non c’è mai modo di fare nulla. Altro che grandi piani di mobilitazione, ormai è l’essenziale a scarseggiare. “Se per la difesa si trovano facilmente centinaia di miliardi, perché non si è mai adottato lo stesso approccio per la transizione ecologica o per il welfare?”, si chiede giustamente più di qualcuno. Dicono: mancano le risorse, manca il personale, manca l’attrezzatura o la strumentazione necessaria.
Ora lo sappiamo: balle! A mancare è solo e semplicemente la volontà politica. Chi ci guida guarda alle classi più deboli della società come a un fastidio inevitabile, cui destinare – con spirito di grande carità – qualche centesimo raggranellato in tasca prima di congedarle con tanti saluti. Chiamate anche questo, se volete, populismo: io non lo faccio, perché (ormai è chiaro) così davvero vanno le cose, nei salotti buoni di chi ci governa.