C’è qualcosa di inusuale, di davvero strano nella cronaca di quanto avvenuto a Castel D’Azzano: tre carabinieri morti, tre fratelli arrestati, un casolare esploso durante un’azione massiccia delle forze dell’ordine. Una tragedia immensa, che non si può raccontare con leggerezza. Ma che lascia aperte domande che meritano di essere poste.
La prima: prima dell’intervento dei Carabinieri, perché nessuno ha mosso un dito prima per intercettare il malessere sociale dei tre fratelli protagonisti della vicenda, impoveriti da una storia di mutui e firme (a detta loro, ovvio) false, di incidenti stradali e assicurazioni? Eppure si sapeva che qualcosa bollisse in pentola. Per anni, nessuno ha preso sul serio le loro parole e il loro risentimento: anche se avevano già annunciato la possibilità di far esplodere il casolare. Non era il caso di occuparsene prima, e meglio, evitando di arrivare alla tragica conclusione della storia?
E poi: quello a cui hanno preso parte i Carabinieri era uno sgombero o no? Perché qualcuno dice di sì (gli articoli parlano generalmente di questo), altri di una perquisizione, e la cosa non è secondaria. Anzi, fa tutta la differenza del mondo: è chiaro che la prima cosa da ricostruire è questa, perché in questo Paese – dove per ottenere la forza pubblica serve un mezzo miracolo – improvvisamente un intero reparto si è mosso andando incontro a un rischio enorme?
Infine: solo al punto di non ritorno – i droni avevano segnalato la presenza di bottiglie molotov: sì, droni, come se fossimo a Kharkiv o a Gaza, non in un comune della provincia di Verona – la forza pubblica non solo si è mossa, ma si è mossa in forze, come per un’operazione militare. E allora uno si chiede: ma non sarebbe stato meglio utilizzare direttamente reparti dell’esercito e specialisti anti-esplosivo, vista la presenza – già acclarata – di ordigni sul tetto della casa? Qualcuno ha sottovalutato il rischio?
Aspetteremo, come sempre, risposte alle nostre domande. Forse dietro questa accelerazione c’erano interessi forti, proprietari esasperati, avvocati determinati, qualche urgenza: chissà. Onestamente, è un po’ anomalo pensare che un casolare sperduto meritasse tanto zelo. E se è vero che lo Stato ha agito temendo un rischio concreto, resta da capire perché quella minaccia non sia stata gestita in modo da evitare il peggio.
Sia chiaro: i tre fratelli che hanno causato la strage non meritano attenuanti. Hanno distrutto vite e famiglie, e dovranno rispondere delle loro azioni davanti alla giustizia. Ma il contesto resta inspiegabile. E su questi punti oscuri sarà necessario fare al più presto chiarezza.
L’ironia amara di questa storia è tutta qui. Quando vi dicono che la forza pubblica non si muove per questioni civili tra privati, ricordatevi di Castel D’Azzano. Là sì che si sono mossi: e purtroppo, si sono mossi per andare incontro alla follia di tre fratelli che avevano deciso – a tutti i costi – di non abbandonare la casa.
Perché in questa vicenda nulla ha una logica. Non la violenza cieca di chi ha appiccato il fuoco, non la burocrazia che altrove dorme e qui si è svegliata di colpo, e neanche la scelta di spedire Carabinieri (e tanti) per un casolare che ora non esiste più.
Forse, più che una cronaca, questa vicenda rappresenta una parabola amara sull’Italia che decide di agire sempre nel momento sbagliato: troppo tardi quando serve, troppo in fretta quando è già tardi.




