Se a qualcuno il referendum non piace


Nonostante non ne parli nessuno, o forse proprio per questo, abbiamo deciso di prendere posizione in merito al prossimo referendum sulla Giustizia, in programma il prossimo 12 giugno. I 5 quesiti toccano infatti punti cruciali del sistema in funzione nel nostro Paese:

  1. Quesito referendario numero 1: abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi. (cd. “legge Severino”). (Scheda rossa)

  2. Quesito referendario numero 2: limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art.274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale. (Scheda arancione)

  3. Quesito referendario numero 3: separazione delle funzioni dei magistrati. Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati. (scheda gialla)

  4. Quesito referendario numero 4: partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte. (Scheda grigia)

  5. Quesito referendario numero 5: abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura. (Scheda verde)

Nonostante l’importanza dei quesiti, però, in molti – moltissimi – non sono neanche a conoscenza della consultazione prossima ventura, figurarsi della materia del contendere. I media, infatti, hanno largamente trascurato la questione – che pure sarebbe di diretto interesse per milioni di cittadini – concentrando il tiro sulla solita cronaca minuta delle azioni di Governo (Tizio parla qui, Sempronio in viaggio lì) e/o sulla guerra in Ucraina. Eppure, sussistono valide ragioni per prendere posizione – come faccio e come facciamo – nella direzione del sì. Vediamo quali:

  1. In Italia 3 milioni di cause civili pendenti e 1,5 milioni di vertenze penali;

  2. Una causa civile dura in media 7 anni e mezzo (in Francia 3 anni e 4 messi);

  3. Una causa penale dura in media 1.600 giorni;

  4. 30.231 giudiziari in 10 anni costati all’erario 895.308.275 euro di indennizzi, con 1.000 innocenti in carcere all’anno;

  5. Presunti colpevoli della rovina dei risparmiatori, condannati in primo grado, innocenti in appello;

  6. Fenomeno delle “Porte girevoli” tra politica e magistratura;

  7. Esistenza di cordate e “cupole” che deviano i magistrati dalla corretta funzione di giudicare i cittadini;

  8. Incertezza del diritto.

Non siamo i soli a pensarla così. Per questo abbiamo deciso di pubblicare, sulle pagine dei principali quotidiani italiani, le ragioni del nostro “sì”. Nei prossimi giorni, quindi, i lettori italiani troveranno in edicola i motivi di questa posizione. E per questo dispiace particolarmente il “gran rifiuto” del direttore Travaglio di fronte all’ipotesi di pubblicare sul suo giornale le nostre ragioni a sostegno del referendum. La democrazia, di cui Travaglio è convinto e insospettabile sostenitore, si compone infatti di opinioni differenziate, e si sostanzia nel confronto dialettico: impedirle o limitarle, per chi ha già volte ribadito che al Fatto “la libertà c’è e sempre ci sarà“, è un autogol grave e onestamente inspiegabile.

Continueremo, Travaglio o meno, a dire la nostra sul referendum: i cittadini hanno diritto a sentire tutte le voci, e a formarsi un’opinione libera. Continueremo a garantirgliela, a prescindere dall’esito finale.

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