Sanremo 2022, il Festival del cattivo gusto


Inutile girarci intorno. Quello che sta andando in onda in questi giorni, più che il Festival di Sanremo, pare un Festival del cattivo gusto: una specie di gara al contrario, in cui vince l’elemento più surreale, fuori luogo e kitsch possibile.

Non bastava l’esibizione di Achille Lauro, che per alzare l’audience ha deciso di ignorare completamente i sentimenti (religiosi, spirituali: chiamateli come credete) dei cittadini che gli pagano l’esibizione. Riassumendo all’osso per chi avesse la fortuna di non aver assistito alla cosa: Lauro ha simulato un battesimo, versandosi addosso dell’acqua da una boccetta mentre cantava. Un’evocazione del sacramento che non è piaciuta per niente a monsignor Antonio Suetta, vescovo di Sanremo.

Sono consapevole che la mia contestazione troverà scarsa eco nel mondo mediatico dominato dal pensiero unico, ma sono ancora più certo che raggiungerà cuori puliti e coraggiosi, capaci di reagire nella quotidianità della vita ad aggressioni così dilaganti e velenose. Soprattutto sono convinto di dover compiere il mio dovere di pastore affinché il popolo cristiano, affidato anche alla mia cura, non patisca scandalo da un silenzio interpretato come indifferenza o, peggio ancora, acquiescenza.


Monsignor Antonio Suetta, vescovo di Sanremo

Blasfemia o meno, comunque, il cattivo gusto non si è fermato lì: dalle volgarità da caserma e gratuite di Fiorello alle continue battutine contro i no-vax ma anche i cittadini con effetti postumi o reazioni avverse (ma la RAI non è la TV di tutti gli italiani?), dall’inspiegabile collegamento pubblicitario del Teatro Ariston con la nave Costa Toscana (qualcuno si ricorda che sono passati 10 anni dalla tragedia della Concordia?) al monologo surreale e abbastanza mal riuscito di Checco Zalone, dal pugno chiuso esibito (senza ragioni apparenti) da La Rappresentante di Lista fino al vestito da “Via col Vento” di Orietta Berti, passando per una regia a essere buoni “ballerina e deludente“, l’edizione di quest’anno sembra un concentrato di volgarità, cattivo gusto e approssimazione.

Come sempre, ma (forse) più di sempre.

Questo Festival dell’eterno ritorno, dove quasi tutti sono già stati qualche decennio fa e tutti si conoscono da una vita, dove ai cantanti non si può chiedere se hanno fatto il vaccino “perché sono dati sensibili”, si sta rivelando uno spettacolo di basso livello. Sarò vecchio stampo, ma un Festival per me dovrebbe avere ben altri ingredienti: buona musica, divertimento, leggerezza. Al di là dei risultati di pubblico, la Rai deve riflettere sulla strada che ha intrapreso: c’è la possibilità di interrompere il flusso di questo trash rifilato agli italiani senza badare solo agli ascolti – ma è ora di farlo davvero, non più di prometterlo.

Non paghiamo un canone per vedere spettacoli insulsi o volgari: qualcuno, a Piazza Mazzini o da quelle parti, se ne ricordi.

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