Referendum: chi lo chiama fallimento non ha capito nulla

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Il referendum dell’8 e 9 giugno 2025, dice mezza sinistra, è stato un fallimento perché non ha raggiunto il quorum. Ma chi lo afferma, probabilmente, ha perso di vista la sostanza dei numeri e – peggio ancora – quella del Paese. 14 milioni di italiani sono andati a votare. Nonostante i quesiti complicati, l’assenza di una vera campagna di mobilitazione e il fatto che fosse già noto a tutti che il quorum non sarebbe stato raggiunto.

Un’Italia rassegnata? Tutt’altro. Questa è l’Italia che ha deciso di dire comunque la propria. Una fila immaginaria lunga 11 volte la Penisola, fatta di cittadini che, in silenzio, si sono messi in cammino verso le urne. Un dato che dovrebbe spingere a riflettere, non a disperarsi. E invece, a sinistra, si piange.

Un segnale politico forte

A piangere è quella parte politica che si dice “progressista” ma che, nei fatti, ha smarrito ogni capacità di leggere i segnali del Paese. Chi definisce questa consultazione un fallimento, mostra una grave miopia politica: 30 milioni di italiani si sono recati al voto nelle ultime due settimane, tra elezioni europee e referendum, e la reazione è quella del lutto istituzionale?

È evidente che la partecipazione non è affatto morta. Il popolo c’è, ha fame di rappresentanza, ha voglia di contare. Quello che manca è una classe dirigente capace di raccogliere questo segnale e dargli forma politica. E qui la cosiddetta “sinistra” mostra tutta la sua fragilità.

“Con questi non vinceremo mai!”

Parlando come osservatore neutro o quantomeno tiepido – da tempo, come sa chi mi legge, non mi accendo per nessuna proposta politica – c’è un dato positivo, a sinistra, che nessuno ha il coraggio di sottolineare: alle prossime elezioni politiche, il centrosinistra potrebbe vincere. I numeri ci sono, il potenziale anche. Ma serve un passo indietro. O meglio: serve che chi ha fallito si faccia da parte. Che i dirigenti inamovibili, eterni del PD e soci lascino spazio ai giovani, alle nuove energie, a chi ha ancora voglia di confrontarsi con la realtà. Altrimenti, come denunciava Moretti, una vita fa: “Con questi non vinceremo mai”.

Finché il dibattito sarà in mano a chi piange per l’ennesima occasione mancata, non ci sarà né visione, né riscatto. Solo la ripetizione di uno schema perdente, che mortifica proprio quei milioni di elettori che ancora scelgono di uscire di casa e votare.

Ascoltare il Paese reale

Il referendum dell’8 e 9 giugno 2025 non è stato quindi un fallimento, ma una prova di resistenza democratica. I dirigenti del PD e compagnia, anziché derubricarlo a incidente tecnico, dovrebbe ascoltare il Paese reale. E soprattutto, dovrebbe trovare finalmente il coraggio di fare ciò che servirebbe davvero: lasciare spazio a una nuova generazione e aprire un capitolo nuovo. Prima che sia davvero troppo tardi.

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