Cari amici,
in questi giorni non si parla d’altro: sembra che alcune grandi aziende italiane spacciassero per olio extravergine, con tanto di etichetta sulle confezioni, del semplice olio di oliva. Il reato contestato dalla Procura di Torino è di frode in commercio che, secondo il nostro Codice Penale, consiste appunto nel consegnare “all’acquirente una cosa per un’altra (…) per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita”. In questo caso, si tratterebbe, infatti, di un olio non dannoso per la salute, ma scadente e meno costoso rispetto all’extravergine. Ad aggravare ancor di più la situazione c’è il coinvolgimento di alcune delle più importanti aziende del settore: Carapelli, Bertolli, Sasso, Coricelli, Santa Sabina, Prima Donna e Antica Badia.
Il tutto è partito da una segnalazione della rivista “Il Test”, che si occupa di eseguire prove di vario tipo sui prodotti in commercio per tutelare i consumatori. La rivista aveva chiesto al Laboratorio chimico dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di analizzare 20 bottiglie di olio extravergine tra le più vendute sugli scaffali dei supermercati italiani e nove di queste non avevano superato il test. Il resto lo conoscete già.
Non serve essere un avvocato per capire che l’intento di introdurre nel nostro Codice Penale il reato di frode in commercio sia stato quello di tutelare la “lealtà e la correttezza negli scambi commerciali”. Se il reato dovesse essere accertato, altro che lealtà e correttezza! Si tratterebbe di una beffa bella e buona a danno del consumatore. Pensate che nel Codice del 1889 questo delitto era inserito tra i reati contro la fede pubblica, perché proprio di questo si tratta: tutte le famiglie che hanno consumato olio di oliva convinte che fosse extravergine non solo hanno speso di più per un prodotto scadente, ma sono state tratte in inganno e la loro buona fede è stata tradita.
Ma non si tratta di un caso isolato. I controlli effettuati nel corso degli anni hanno evidenziato l’esistenza di diverse tecniche utilizzate per contraffare l’olio, un po’ come i trucchetti usati da Volkswagen e compagnia per superare i test sulle emissioni. Il metodo più usato consiste nel miscelare all’extravergine vero e proprio più tipi di olio di oliva di qualità inferiore, spesso proveniente da altri paesi. E il bello è che proprio la legge consente di farlo, entro certi limiti e a patto che l’operazione sia indicata chiaramente sull’etichetta. Altre pratiche prevedono l’aggiunta di olii, che non c’entrano nulla con le olive, per alterare l’aspetto del prodotto, come coloranti o additivi chimici che ne camuffano il sapore.
Insomma, sembra proprio che le aziende se ne inventino di tutti i colori per approfittare della buona fede del consumatore.
E la vicenda di cui vi ho parlato mi ha indotto proprio un’amara riflessione: ormai, come ci ha già insegnato il dieselgate, i grandi marchi non sono più garanzia di qualità. Se emergesse che Carapelli, Bertolli, Sasso e tutte gli altri sono disposti a perdere di credibilità e a frodare il consumatore pur di risparmiare, che ne sarebbe del nostro Made in Italy?
Un saluto,
Carlo