Lo dico con chiarezza, e come mi abitudine senza girarci intorno: sto dalla parte di Nordio nel dibattito che si è aperto intorno al “pacchetto giustizia” che prevede, tra l’altro, “lo stop ai ricorsi contro le assoluzioni, un giro di vite alla pubblicazione delle intercettazioni e l’obbligo di interrogare e comunicare in anticipo le accuse a chi rischia l’arresto” (salvo a chi è indagato per reati gravi e in caso di pericolo di fuga). E sto dalla parte opposta rispetto ai magistrati che interferiscono sul potere politico. Cosa che non gli compete, che non possono fare. Una cosa al limite dell’abuso di atti di ufficio – proprio quell’abuso d’ufficio di cui tanto si parla – e su cui Nordio dovrebbe intervenire con un esposto in Procura e con il Procuratore Generale della Corte di cassazione.
Non si capisce infatti cosa ci sia di “inaccettabile” – per usare le parole del presidente Anm Giuseppe Santalucia – nel principio, affermato da Nordio, della non ingerenza della magistratura in materia di scelte politiche. Un principio sacrosanto, che sarebbe solamente ora di rispettare – senza eccezioni, senza discussioni, senza più crociate contro questa o quella riforma del sistema.
E non ha senso neanche drammatizzare, come fanno alcuni: non c’è alcun “funerale della giustizia” in vista, per cui è il caso di ricondurre i toni alla ragionevolezza e provare a capire di cosa si sta parlando – tanto più se altri, come l’Unione delle Camere Penali “apprezza sostanzialmente nel complesso la riforma”, e i sindaci plaudono alla parte sull’abuso d’ufficio.
Il disegno di legge in otto articoli della riforma della Giustizia targata Carlo Nordio prevede in sintesi 5 interventi principali:
- Abrogazione dell’abuso d’ufficio;
- Modifica del reato di traffico di influenze illecite;
- Riforma delle intercettazioni per rafforzare la privacy dei terzi;
- Intervento sulle misure cautelari per garantire maggior contraddittorio tra le parti;
- Limitazione del potere di appello del pubblico ministero.
Tutte proposte di cui si può discutere, ma senza dubbio ragionevoli: nel primo caso per gli scarsissimi risultati prodotti dal reato sul piano giudiziario (il numero complessivo delle condanne assomma nel 2021 a 18 casi), nel secondo per una necessaria, migliore definizione del reato (su richiesta, peraltro, degli amministratori locali), nel terzo per risolvere un problema emerso tante volte nella cronaca giornalistica (le modifiche hanno “lo scopo di rafforzare la tutela del terzo estraneo al procedimento rispetto alla circolazione delle comunicazioni intercettate”), nel quarto per dare all’indagato e al giudice un momento di interlocuzione diretta, prima di una misura cautelare, e infine nel quinto caso per ragioni di evidente garantismo (il ddl propone di ridisegnare il potere del pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di assoluzione di primo grado, rispettando però le indicazioni della Corte costituzionale).
Insomma: piaccia o meno, la “riforma Nordio” – che io, ripeto, appoggio in pieno – non è certo la fine del mondo. È ora che i magistrati facciano il loro mestiere, senza passare il tempo a discutere di questioni che appartengono alla sfera della politica, a scelte che appartengono solo ai rappresentanti dei cittadini. È ora che la giustizia cambi.