L’Italia che piange sul latte non pagato

Cari amici,

oggi voglio raccontarvi una storia che, girovagando sul web, mi ha colpito particolarmente. La storia di Bartolomeo e Pierantonio Scotta, padre e figlio residenti nella provincia di Cuneo che nel lontano 1972 hanno dato vita ad un’azienda agricola specializzata in allevamento. Prima bovini di razza piemontese, poi il passaggio alla produzione di latte.

Oggi gli Scotta possiedono 471 esemplari di frisona Holstein, di cui 210 in lattazione, per una produzione annuale di 33.000 quintali di latte, eppure faticano ad andare avanti. Perchè? Per capirlo, vi riporto le parole di Pierantonio: “C’è stato un periodo in cui siamo arrivati a 800 lire al litro. Bei tempi, quelli. Si lavorava con entusiasmo, voglia di crescere, fiducia nel futuro. L’ultima fattura pagata dalla Lactalis: 32,9 centesimi di euro al litro, cioè 600 lire, contro i 38 dei costi di produzione. E sono ancora fortunato: le mie mucche frisone fanno in media 40 litri di latte al giorno. Ne producessero 25, come buona parte dei medi allevamenti, la spesa salirebbe a 42 centesimi. Spiegatemi come si fa ad andare avanti”. Già, come si fa?

La storia degli Scotta è la stessa di tante famiglie italiane che, negli ultimi giorni, insieme a Coldiretti, sono scese in piazza per protestare contro le condizioni che gravano ingiustamente sugli allevatori. Secondo i dati diffusi proprio da Coldiretti, la multinazionale francese Lactalis negli anni si è comprata i marchi nazionali Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani e Cadermartori arrivando a detenere il 33 per cento del mercato italiano del latte a lunga conservazione; la quota sale al 34 per cento nel caso della mozzarella, al 37 per cento nei formaggi freschi e quasi al 50 per cento nella ricotta. Lo squilibrio tra le parti è evidente: Lactalis impone agli allevatori prezzi talmente bassi da non riuscire a coprire neanche i costi di produzione!

Il risultato è che nell’ultimo anno oltre mille stalle da latte sono state chiuse e quasi quattromila posti di lavoro sono andati in fumo per effetto della perdita nei bilanci di circa 550 milioni di euro. E il fallimento delle aziende italiane apre, ovviamente, la strada a quelle straniere con il rischio, concreto, che il latte estero superi quello made in Italy. Ad aggravare la situazione c’è poi il danno ai consumatori: nel passaggio dalla stalla allo scaffale il prezzo del latte fresco cresce più di quattro volte e la differenza tra i prezzi pagati dal consumatore italiano e il prezzo riconosciuto agli allevatori è la più alta d’ Europa.

Insomma, la situazione che si è creata nel nostro Paese rischia di schiacciare migliaia di famiglie che da anni operano nel settore lattiero-caseario. Il danno per il made in Italy sarebbe irreparabile. Per questo, il governo che, sulla scia di Expo, ha dimostrato di tenere tanto alla promozione del nostro marchio nel mondo, dovrebbe intervenire in modo deciso, limitando lo strapotere delle multinazionali e tutelando il latte italiano!

A presto,

Carlo

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