L’Italia ora rischia la deindustrializzazione


Mentre si accavallano le notizie relative all’ennesima, durissima battuta d’arresto per l’industria italiana, con l’ennesimo calo mensile e l’ennesimo allarme che sicuramente rimarrà inascoltato, conviene fermarsi per un attimo e valutare le conseguenze di una tendenza del genere in un Paese come il nostro. Una cosa che al giorno d’oggi non fa più nessuno: la giostra delle notizie è sempre in funzione e impedisce qualsiasi riflessione approfondita su cause ed effetti di ogni fenomeno. Proviamo, perciò, a fare una cosa insolita: a capire cosa succede.

L’Italia, anche se gli italiani non lo sanno, resta infatti un grande Paese industriale “con punte straordinarie nella farmaceutica, ma anche nella chimica, nella meccanica e nella meccatronica, nella gomma, nei settori di tradizione del made in Italy (abbigliamento, arredamento, agro-alimentare)“. Con tutti i problemi che abbiamo, rimaniamo comunque la settima potenza a livello mondiale in termini di quota di mercato (o giù di lì): non esattamente una posizione trascurabile. Per questo un tempo, di fronte al secondo calo consecutivo su base mensile, lo stato dell’industria italiana sarebbe finito al centro del dibattito nazionale. Ne avrebbero parlato anche nei bar, e giustamente. Ora, invece, anche se il Paese rimane industriale, silenzio di tomba; nessuno pare avere idee e soluzioni per invertire questa corsa negativa, questa discesa verso un baratro che per il nostro Paese ha un solo nome: deindustrializzazione. Una parola che fa paura – specie per chi ha costruito, come noi, la propria industria con tanta fatica e tanto impegno – ma che viene pronunciata sempre più spesso da amministratori, sindacalisti e addetti ai lavori.

Non bastano, e non basteranno, i fondi locali di contrasto alla deindustrializzazione: a pesare come un macigno sull’industria italiana è l’inflazione ancora alle stelle, con i prodotti più acquistati dalle famiglie che registrano una marcata crescita dei prezzi (a due cifre), ed effetti diretti sulla spesa e sui consumi degli italiani. Si tratta del pericolo più immediato per i nostri produttori: l’inflazione può essere, se non contenuta, il cavallo di Troia della deindustrializzazione italiana.

Per questo, nell’immediato, chiediamo di intervenire sui prezzi al dettaglio: perché il calo dell’inflazione registrato negli ultimi due mesi è solo fittizio e determinato unicamente dalla riduzione delle tariffe energetiche, ma non si riflette sulla spesa quotidiana delle famiglie e non aiuta la nostra economia e la nostra industria. Ma nel lungo periodo, è chiaro, c’è bisogno di altro. Un monte di altre cose, in primis strategie e prospettive solide (quella che una volta si sarebbe chiamata politica industriale): e soprattutto, c’è bisogno che la crisi energetica venga risolta una volta per tutte, restituendo alle nostre imprese energia a costi accessibili. Il fattore competitivo che, in questo momento, più ci manca.

Se non si risolve alla radice questo problema, trovando una soluzione duratura ed efficace all’emergenza energetica, tutto il resto sarà solo un palliativo: non servirà a nulla.

E allora faremo bene a rassegnarci a un’Italia vecchia, impoverita e pure deindustrializzata: chissà, magari qualcuno ci brinderà su – ma noi italiani, che siamo sempre stati orgogliosi delle nostre produzioni, dei nostri prodotti e delle nostre eccellenze, di sicuro no.

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