L’Italia perde i pezzi: la deindustrializzazione avanza

industria italia

Anche se nessuno, tra giornali e TV, è molto interessanto alla faccenda l’industria italiana è in crisi da oltre due anni, con 26 mesi consecutivi di calo nella produzione industriale. Da una vita, insomma, le cose vanno in questo modo: produciamo sempre meno, e sempre meno contiamo a livello globale. Un declino che non è solo questione di numeri, ma rappresenta il segnale allarmante di una deindustrializzazione che, se tutti continueranno a girarsi i pollici, potrebbe avere conseguenze devastanti per l’economia e l’occupazione nel nostro Paese.

Una crisi infinita

Secondo l’Istat, a marzo 2025 (ultimi dati disponibili) la produzione industriale è diminuita dell’1,8% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Nonostante un lieve aumento congiunturale dello 0,1% rispetto a febbraio, il trend negativo persiste, indicando una crisi strutturale del settore industriale italiano. Una tendenza negativa che parte da lontano: basti vedere la lista dei marchi italiani finiti, nel corso degli ultimi anni, in mani straniere: c’è da spaventarsi. Insomma, poco da dire: la situazione è ormai tragica, e le cause sono sotto gli occhi di tutti.

Costi energetici insostenibili

Le imprese italiane affrontano costi energetici (denunciati anche da Confindustria) tra i più alti d’Europa, con un prezzo medio dell’elettricità per le imprese di 88 €/MWh, significativamente superiore rispetto a Germania (61 €/MWh) e Spagna (40 €/MWh). Questa situazione penalizza la competitività delle aziende italiane, in particolare nei settori energivori, e si traduce in un aumento dei prezzi per i consumatori finali.

Salari fermi e potere d’acquisto in calo

Ma a parte la faccenda dell’energia, peggiorata – neanche a dirlo – dall’inizio della guerra in Ucraina, c’è da dire che i salari reali in Italia sono diminuiti dell’8% rispetto al 2021, erodendo il potere d’acquisto delle famiglie. Questa stagnazione salariale, unita all’aumento dei prezzi, ha portato a una riduzione dei consumi, con un italiano su due che ha tagliato le spese negli ultimi sei mesi.

Un circolo vizioso

La combinazione di costi energetici elevati e salari stagnanti crea un circolo vizioso: le imprese riducono la produzione o delocalizzano, i lavoratori perdono potere d’acquisto e i consumi calano, aggravando ulteriormente la crisi industriale. Questo scenario – che ormai è realtà nel nostro Paese, come vediamo dai dati – minaccia il benessere economico e sociale dell’intero Paese.

E ora?

È (o meglio: sarebbe) fondamentale che il governo e le istituzioni prendano coscienza della gravità della situazione e intervengano con misure concrete per rilanciare l’industria italiana.

Tra le azioni necessarie:

  • Riduzione dei costi energetici: adottare politiche per abbassare il prezzo dell’energia per le imprese.

  • Aumento dei salari: implementare politiche salariali che restituiscano potere d’acquisto ai lavoratori.

  • Sostegno ai consumi: incentivare la domanda interna attraverso misure fiscali e sociali.

  • Politiche industriali efficaci: elaborare una strategia a lungo termine per il settore, con obiettivi chiari e strumenti adeguati.

Lo faranno? Chissà. L’esperienza mi spinge al pessimismo, e poi – visto che da 26 mesi non si muove una foglia – dubito che accadrà qualcosa a breve.

Qualcuno, però, dovrà prima o poi rispondere della disastrosa deindustrializzazione di questo Paese, un tempo manifattura tra le principali d’Europa e del mondo. Tempo al tempo: i conti, specie in politica, si fanno sempre alla fine.

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