Sembra improvvisamente diventato normale pubblicare aggiornamenti di dettaglio, e addirittura vere e proprie notizie, contenenti informazioni riservate e sensibilissime sulle condizioni di salute della famiglia più famosa (e influente) d’Italia: i Ferragnez.
Ora: chi conosce me e l’Associazione che ho l’onore di co-presiedere sa che il rapporto con questi signori è sempre stato un po’ movimentato. Guardiamo il bicchiere mezzo pieno: ci siamo guadagnati una citazione di quelle che contano. Ma abbiamo anche molto dicusso per una certa storia di acque a caro prezzo, per certe scelte legate alla gestione dell’immagine dei figli, per le raccolte-fondi e così via.
I punti di attrito, onestamente, non sono mai mancati, ma alla base c’è sempre stata una certa concezione della vita sociale, una certa idea differente di mondo – non certo un’antipatia personale, che non c’era e non c’è mai stata. E proprio perchè non c’è mai stata, e non c’è stata quindi alcuna “persecuzione” (può capitare, nei momenti in cui ci si accalora, di esagerare!), posso ora serenamente dire la mia su quanto sta accadendo ai dati sanitari della famiglia Ferragnez, continuamente (sempre, sempre, sempre) sbattuta tra le cronache di giornata come se si trattasse di materia collettiva o proprietà di tutti. Sembra quasi che tra giornali, redazioni e studi televisivi – dopo un biennio di pandemia che proprio sul tema della privacy sanitaria ha visto concentrarsi le maggiori contraddizioni – si sia pensato: “ormai tutto è lecito”. Come se si trattasse ormai di un diritto fluido, indebolito e degradato dopo essere diventato oggetto di trattative politiche che ne hanno visibilmente degradato la forza.
Eppure, le norme in materia sono chiarissime. Il diritto, anche in questo caso, non ammette eccezioni: e meno male.
«Dati relativi alla salute: attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute».
Articolo 4 del GDPR
No, i dati sanitari di una famiglia non sono proprietà di tutti – anche se gli stessi membri scelgono di condividerli: i dati relativi alla loro salute appartengono a loro e solo a loro spetta la scelta sulla loro diffusione. Specialmente quando si parla di argomenti così importanti, e di momenti tanto delicati, gli esseri umani devono scoprirsi tali garantendo alle persone coinvolte il massimo rispetto e la massima privacy, tutelandole in tutti i modi nel rapporto con la sofferenza e la malattia, donandogli un silenzio che è insieme intensa partecipazione e tacito sostegno. Solo questo e non altro: sbattere in prima pagina una malattia, una radiografia, l’intervista a un medico non è solo un esercizio di cattivo giornalismo, ma di cattiva umanità. Gli esseri umani si stringono nella sofferenza, o esseri umani non sono.