Un caso inquietante, ma ormai ordinario per la nostra sanità, è accaduto a Brescia, dove una donna si è recata al pronto soccorso con forti dolori addominali ed è stata dimessa con una diagnosi di pelvicalgia, ovvero un generico dolore pelvico. Nelle ore successive, però, le sue condizioni sono peggiorate fino al ricovero d’urgenza in un altro ospedale, dove le è stata diagnosticata un’appendicite acuta con peritonite. Una condizione potenzialmente letale, che ha richiesto un intervento chirurgico immediato.
Il Codacons ha immediatamente chiesto verifiche approfondite sul caso. Io stesso, come cittadino prima ancora che come giurista, chiedo che si faccia subito chiarezza su quanto accaduto. Se ci sono state omissioni o sottovalutazioni da parte dei sanitari, è indispensabile accertarle al più presto.
Succede più spesso di quanto non si creda: diagnosi sbagliate, vite a rischio. Nessuno dica che è un’eccezione.. Detto questo, non intendo in alcun modo anticipare giudizi che arriveranno nei luoghi deputati: saranno le autorità sanitarie e la magistratura a stabilire responsabilità e punizioni per questo macroscopico errore medico. Ma è doveroso, in una democrazia fondata sulla tutela della persona, che episodi come questo vengano trattati con la massima trasparenza. Il diritto alla salute non può tollerare zone d’ombra.
Il pronto soccorso è un luogo in cui i cittadini si affidano completamente allo Stato, al personale sanitario e alla professionalità di chi deve prendere decisioni in tempi rapidi. Questo affidamento merita rispetto. Quando un paziente viene rimandato a casa con una diagnosi errata e rischia la vita poche ore dopo, il sistema deve porsi delle domande. E deve dare risposte.
Vedremo come andrà a finire, ma intanto mi auguro che questa vicenda serva a confermare una cosa basilare: e cioè che l’errore, quando c’è, non deve restare mai impunito. Dev’essere, anzi, sempre riconosciuto e prontamente corretto. Solo così si protegge davvero la salute pubblica e la fiducia dei cittadini nella sanità.