Covid, apocalittici e integrati


Non so se molti osservatori hanno notato che l’opinione pubblica sta modificando la sua posizione, e si sta radicalizzando in un binarismo pericolosissimo. Provo a spiegarmi citando un famoso paradigma di Umberto Eco: da una parte gli apocalittici – quelli che vedono in ogni misura di contenimento una fragorosa violazione delle proprie libertà individuali e dei propri diritti; e dall’altra gli integrati – tutti coloro che invece gridano di continuo all’emergenza acuta, e che richiedono misure ancor più contenitive, restrittive e severe a ogni notizia di contagio.

Questi due opposti poli rappresentano due espressioni, entrambe preoccupanti ed entrambe egualmente disfunzionali, della reazione a uno stress prolungato nel tempo, a un contenimento che ovviamente – come succede sempre in questi casi – ha provocato conseguenze psicologiche significative e ormai molto evidenti.

Servirebbero cautela, misura, equilibrio: servirebbe adottare e anzi sposare il “principio di precauzione”, certo, ma senza allarmismi inutili e deleteri. Ma sarebbe troppo facile liquidare questi atteggiamenti “estremi” senza averne indagato le cause, bollando di eccessivo o scarso contatto con la realtà gli uomini e le donne che li esprimono. La verità è un’altra, e da giurista occorre raccontarla, premettendo che io alle misure di contenimento – cruciali per arrestare l’avanzata del virus – sono sempre stato favorevole.

Bisogna trovare il coraggio di dire che dietro il confronto “apocalittici vs. integrati” si nasconde una chiave economica: i primi, molto spesso, rappresentano proprio quei settori – spettacolo, eventi, ecc. – che sono stati più colpiti dall’epidemia e dal successivo lockdown. Per loro, e mettendosi al loro posto è difficile dargli torto, qualsiasi misura di contenimento ha effetti immediati sul portafogli, e quindi sul pane in tavola: naturale, naturalissimo trovarli spesso dalla parte di chi contesta ulteriori divieti e ulteriori misure di tutela. Milioni di famiglie, all’improvviso precipitate in una crisi economica senza fondo, alle prese con un trauma psicologico di entità abbastanza importante: perché stupirsi della loro reazione? I secondi invece, altrettanto spesso, rappresentano quegli ambienti economici (dipendenti, proprietari, ecc.) che possono “permettersi” le norme anti-COVID, e che quindi le difendono a oltranza come strumento di salvaguardia personale.

Questa è una chiave che non sento mai, e che invece andrebbe applicata per leggere la realtà. Non è l’unica, certo. Potremmo parlare dell’estrema contraddittorietà delle norme – mascherina sì, mascherina no, assembramento sì, assembramento no, “congiunti” e così via – che ha ingenerato quella confusione che spesso mina la legittimità dei provvedimenti in questione. Potremmo parlare del fatto che il lockdown abbia inciso sui sentimenti più intimi, come la pietas religiosa o i rapporti con gli affetti più cari, ingenerando reazioni opposte ma egualmente viscerali. O potremmo parlare dell’uso compulsivo di DPCM e DDLL – prassi purtroppo diffusa e non da oggi – che ha dato a molti l’impressione di una sostanziale esautorazione/mortificazione del potere legislativo.

Insomma, le spiegazioni possono essere tante, ma il tema resta: il bipolarismo che sta emergendo nella società italiana è davvero preoccupante, e rischia di diventare un problema vero e proprio nei prossimi mesi. Come fare per uscirne? Con misura e buon senso, come si diceva prima. Ma soprattutto, con messaggi autorevoli e comunicazioni chiare sulla necessità delle misure, sgombrando il campo da qualsiasi impressione di finalità persecutorie o autoritarie o frutto di speculazioni elettoralistiche. È così, solo così, che torneremo uniti: proprio quello che ci serve, all’epoca del COVID.

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