Si fa un gran parlare di inclusione, lotta agli stereotipi di genere e così via: dalla mattina alla sera, tutto intorno a noi, va in scena un rituale di conferma collettiva su questi temi, un’infinita tiritera di dichiarazioni, impegni, solenni promesse tese a ribadire la propria adesione a questa battaglia sociale. Tutti, ma proprio tutti, si danno da fare per ribadire a più non posso la propria buona fede, per farsi vedere in prima fila, per mettersi in mostra come paladini dell’emancipazione; e se oggi qualcuno rischia di perdere un lavoro decisamente ben retribuito per certe frasi fuori luogo in materia femminile, si capisce quanto il tema oggi sia considerato – giustamente – importante e delicato.
Resta perciò doppiamente incomprensibile la scelta di un noto marchio di intimo, che in queste settimane ha deciso di tappezzare l’Italia con un’immagine che, tolta la patina di modernità dei colori e delle pose, sembra uscita pari pari dal baule dei ricordi.
Nella foto, due ragazze mettono in mostra i più recenti pezzi della collezione, in vista dell’estate: le due, ritratte su un pontile (o qualcosa di simile), mantengono pose del tutto innaturali, forzatamente seduttive, come fossero lì per farsi vedere dai passanti e niente più. Lo sguardo dello spettatore è condotto, immancabilmente, al pube – specie a quello della ragazza di sinistra, tanto in primo piano da apparire innaturalmente gonfio, come fosse photoshoppato – e al seno delle due – ovviamente, la camicetta della ragazza di destra è aperta proprio a questo scopo, sia mai che qualcosa risultasse coperto. Il quadro generale, insomma, lascia quasi intendere – su questo gioca l’immagine – una certa, vaga, disponibilità sessuale. Le persone raffigurate nelle immagini non hanno alcuna relazione con il prodotto da pubblicizzare. I corpi sono utilizzati come puro richiamo o a scopo decorativo. Delle qualità del prodotto, del tessuto, delle caratteristiche che dovrebbero favorire l’acquisto, nessuna traccia: come se il prodotto in sé fosse del tutto secondario, come se la sua possibilità di vendita fosse affidata totalmente ad altri fattori – e probabilmente è proprio così. La sessualità femminile, in questo caso, è insomma chiarissimamente sfruttata a fini commerciali: e buonanotte a inclusività, lotta agli stereotipi, emancipazione della donna.
Ora, la cosa è doppiamente sorprendente: da una parte, un uso così disinvolto di meccanismi pubblicitari dell’altro secolo stride con l’attenzione che ormai dedichiamo a questi temi. Come hanno fatto insomma, nella sede dell’azienda, a non accorgersi che il mondo è cambiato? Sono barricati in una stanza di vetro, e convinti di essere rimasti fermi agli anni ’60? Mistero totale. E poi: non lo sanno che gli studi ormai dimostrano con chiarezza una cosa e una solta, e cioè che la sessualizzazione della comunicazione non aiuti, e anzi ostacoli la vendita del prodotto?
Il pubblico di oggi, infatti, è cambiato: è sensibile, attento, partecipe. Non accetta di essere trattato da bersaglio passivo di riferimenti sessuali e stereotipi. La prova? Lo studio Does Sex Really Sell? Paradoxical Effects of Sexualization in Advertising on Product Attractiveness and Purchase Intentions. All’interno del campione preso in esame, le donne hanno reagito negativamente agli annunci sessualizzati sia femminili che maschili rifiutando di acquistare i prodotti. Anche gli uomini non hanno mostrato alcun incremento significativo né sull’attrattiva del prodotto né sulle intenzioni di acquisto. Quindi, riassumendo: l’uso di stereotipi nella pubblicità è controproducente e inutile sia per gli uomini che per le donne. Controproducente, inutile e di cattivo gusto.
Nonostante ciò, una vasta gamma di prodotti, dai profumi all’alcol, ha storicamente presentato le donne, e continua a farlo, come un oggetto del desiderio. La pubblicità si allontana dalla vendita esplicita del prodotto per promuovere cliché e stili di vita idealizzati (come in questo caso), che non c’entrano un’acca col prodotto in questione. Con rappresentazioni distorte della nostra società occidentale si mettono ancora troppe barrire che fortificano disuguaglianze di genere, tolleranza alle molestie sessuali e cultura dello stupro.
Il pubblico ormai ha compreso le bugie e le forzature del marketing pubblicitario, quando sfrutta il tema della sessualità per fini manipolativi. La componente femminile e la sua rinnovata emancipazione sono sotto gli occhi. Speriamo se ne accorga anche qualcuno, là fuori: qualcuno che, ancora, sembra proprio non volerci sentire.