Ho visto in questi giorni due – supposti – “bei film”.. Che non mi sono proprio piaciuti!
Uno si chiama Anatomia di una caduta, di Justine Triet, che prende le mossa dalla caduta di un tizio – e conseguente morte – dall’ultimo piano della sua baita, e intorno a questo episodio cerca di inventare una storia credibile. Storia, però, che presto diventa un vero e proprio pasticcio: il film mette dentro decine di problematiche diverse, che si accavallano in modo confuso e non lasciano delinare con chiarezza nessuna sotto-trama. Un caos che dura almeno fino a 3/4 del film, quando finalmente esplode il conflitto tra i due coniugi che – in una registrazione – litigano in modo furibondo. Solo a quel punto emerge, forse, il punto cui la regia (senza riuscirci) mirava: il tema della competizione professionale tra i due coniugi, le questioni dell’invidia, della gelosia, dell’insoddisfazione, dell’accanirsi dell’uno contro l’altro. E alla fine a soccombere è il marito, senza spina dorsale di fronte a una moglie forte, astuta, che addirittura gli ruba un lavoro – l’unica cosa riuscita al pover’uomo – e ne fa uso per diventare autrice di successo. Insomma, 150′ di tempo investito e il tutto si è risolto una gran cretinata: bastava riassumere il film in quel litigio. Bastava affrontare in modo più concreto (e utile) una tematica diffusa – la competizione, la gelosia e l’ambizione professionale che a volte creano problemi di incomprensione portando fino alla separazione – senza girarci troppo intorno.
Altro film non riuscito e, onestamente, quasi intollerabile: Cento Domeniche. Un tentativo di cinema civile che vorrebbe recuperare una storia di 20 anni fa, relativa al crac delle banche venete, con protagonista/sceneggiatore/regista Antonio Albanese. In questo caso la questione è il ritmo, da pennichella pomeridiana: al centro della scena il classico risparmiatore truffato dell’epoca (che in banca ha investito i soldi che ora servono al matrimonio della figlia), un uomo che si trascina stancamente, con un atteggiamento di noia e lentezza assolute, verso l’inevitabile disfatta. Ma il tutto avviene con un fare al rallentatore: tanto prevedibile che rischia, seriamente, di far addormentare chi guarda. 94′ spesi per un film che si avvita in una spirale didascalica e scontata: avrebbe fatto meglio Albanese a sollevare il problema dei processi successivi a questi crac, nel corso dei quali le associazioni – tra cui il Codacons – hanno recuperato centinaia di migliaia di euro per i truffati. Sarebbe stato il caso, per affrontare la problematica in modo completo e far capire agli spettatori almeno com’è andata a finire quella brutta storia.
Ma insomma, è chiaro dove voglio arrivare. Purtroppo la cinematografia attuale lascia molto, molto a desiderare.
Ci dobbiamo accontentare. Amen!