Il Ministero dell’Istruzione rispolvera un divieto che esiste da quasi vent’anni e ribadisce – con una circolare fresca e determinata – che i cellulari in classe non si usano. Nemmeno alle superiori. Bene, bravi, bis. Ma il punto è un altro: chi controllerà che venga rispettato?
Direttive inascoltate
Non si tratta, appunto, di una gran novità. Già nel 2007, con la Direttiva Ministeriale n. 104, era stato vietato agli studenti di utilizzare smartphone e dispositivi elettronici durante le attività didattiche. Risultato? Un’ottima teoria, completamente disapplicata. Nei corridoi scolastici i telefonini diventavano strumenti di distrazione continua, a volte pure bullismo e violazione della privacy, in barba a divieti e proibizioni. Canalizzando sugli schermi una certa, diffusa, apatia collettiva.
Quello che serve adesso non è (solo) un nuovo divieto, ma la volontà di farlo rispettare davvero. Senza se, senza ma, e – perché no – con sanzioni per le scuole che fanno finta di niente.
Basta chiudere un occhio (o due)
Non c’è dubbio, la circolare firmata dal ministro Valditara è un passo nella giusta direzione, ma rischia di trasformarsi nell’ennesimo “atto dovuto” archiviato sotto il tappeto della disattenzione generale. Per questo, come Codacons, abbiamo inviatato tutti i genitori a segnalare i casi in cui il divieto non venga applicato.
E aggiungiamo: se i presidi non fanno rispettare le disposizioni ministeriali, li denunceremo alle Procure per inosservanza dei provvedimenti dell’autorità. Sì, avete letto bene. Le regole valgono anche dentro le scuole. E devono rispettarle tutti, dal primo all’ultimo. Nessuno escluso!
Altra aria fritta?
Nessuno mette in discussione l’utilità del digitale nella didattica, quando è guidato, strutturato e consapevole. Ma l’uso libero e incontrollato dello smartphone in classe non ha nulla a che vedere con l’innovazione. È solo una resa educativa. Ecco perché, stavolta, non possiamo accontentarci delle buone intenzioni.
Servono fatti, controlli, vigilanza: altrimenti è – di nuovo – aria fritta.