BREXIT, ISTRUZIONI PER L’USO


Cari Amici,

è successo: i cittadini inglesi hanno votato “Leave”, e deciso di uscire dall’Unione Europea, nonostante le minacce di ritorsioni, guerre commerciali, conseguenze economiche devastanti ecc. ecc. (o forse proprio per questo). La Brexit è realtà; il che, come dicono molti, non sarebbe neanche un dramma: lo sanno tutti che il Regno Unito puntava più a rallentare o impedire l’integrazione europea, che a favorirla. Senza contare che è meglio rassegnarsi a perdere un Paese-membro piuttosto che “ostinarsi” a mantenerlo (controvoglia) nell’Unione a forza di concessioni, status speciali, privilegi.

Breve riassunto dei fatti, visti da qui: i media di casa nostra, dopo neanche cinque minuti dal voto, avevano già individuato i responsabili di questo affronto. La colpa è dei “vecchi”, che hanno votato “Leave”, preferendo “il passato al futuro, i ricordi ai sogni, l’illusione al buon senso”. I giovani, invece, fedeli ai più triti stereotipi della modernità (“cresciuti senza frontiere, progettando di studiare in un altro Paese, fidanzandovi durante l’Erasmus, scambiando messaggi con gli amici sulle occasioni per trovare lavoro o sui voli meno costosi per vedere un concerto”), hanno votato “Remain”: avrebbero preferito rimanere in Europa, ma devono subire la decisione (il sottinteso è chiaro: sbagliata) dei padri, o dei nonni.

Ma questo quadretto, che ci hanno raccontato, è vero? C’è stato un conflitto generazionale dietro i risultati del Brexit? Ovviamente no: si tratta di un racconto totalmente fasullo. Per capirlo basta leggere (per bene) i dati: a quanto pare, solo il 36% dei giovani è andata alle urne. Altro che euro-ottimisti! Per carità, hanno votato – in gran parte – pro-UE: ma se almeno due ragazzi su tre hanno preferito starsene a casa, come si fa a parlare di “mobilitazione giovanile”, di “giovani che vogliono l’Europa”? Mi sembra, piuttosto, che quel voto di protesta che adulti e anziani hanno consegnato al fronte del “Leave”, i giovani lo abbiano espresso disertando le urne!

Io credo che la frattura giovani vs. “vecchi” sia un comodo alibi, dietro al quale nascondere le gravi mancanze dell’Unione Europea: un’Unione solo di nome, ma più un’area di libero scambio, sempre più severa e minacciosa con i Paesi in difficoltà, e sempre più lontana da una qualsiasi idea di solidarietà, di progetto collettivo, di progresso sociale. Non basta scegliere un inno (non sapete qual è? Appunto!) e una bandiera per creare un popolo, come hanno cercato di fare (a tavolino) i burocrati di Bruxelles. Proprio per questo, scegliere di oscurare i gravi problemi dell’UE, dirottando l’attenzione sullo scontro generazionale o (peggio ancora!) dicendo che gli inglesi hanno “sbagliato”, significa tacere sul fallimento delle politiche UE negli ultimi anni. Dietro alla Brexit, un principio è evidente: la gravissima crisi economica globale, e la connessa crisi della zona euro, non si risolvono con tagli lineari ai salari, alle pensioni, allo Stato sociale, all’istruzione, alla ricerca, alla cultura e ai servizi pubblici essenziali, come ci hanno fatto credere. E i cittadini inglesi hanno scelto di denunciarlo.

Adesso, quindi, i nodi arrivano al pettine, e non ci sono scappatoie; bisogna rimediare, e alla svelta, sostenere le categorie più deboli – che stanno pagando la crisi, a volte, letteralmente a costo della vita – e ridurre le paurose sproporzioni, in termini di ricchezza, all’interno dei Paesi membri. Molti cittadini europei si stanno impoverendo, se non si sono già impoveriti. Bisogna agire: adesso, o mai più.

Per questo, io credo, è davvero patetica (e senza senso) l’idea di organizzare un secondo referendum. E’ come quando i bambini dicono: la partita finisce quando faccio gol. Ma la democrazia è una cosa seria: cerchiamo di non dire assurdità. Anche perchè, se anche stavolta si deciderà di non decidere, per l’Unione Europea i giochi sono già fatti.

A presto,

CR

 

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