Quei bravi censori in cerca di un quarto d’ora di celebrità


Leggiamo in questi giorni della forte, improvvisamente vibrante intenzione di svincolare la soluzione dei problemi processuali dal denaro. Su questo, premetto, io sono d’accordo in linea di principio. Ma la legge ammette la possibilità di risolvere alternativamente le controversie, e a ragion veduta: lo scopo, infatti, è quello di non intasare i tribunali con una miriade di cause per cui si può trovare una qualche soluzione. Senza dire che ci sono altri elementi da valutare: per esempio il fatto che un danno patrimoniale ai danni dei consumatori – come quello realizzato con la vendita del pandoro pink Christmas – non può rimanere in linea di principio insanabile. Altrimenti, ragionando per assurdo, andrebbe comminata ogni volta la pena di morte ai responsabili di questo o quel reato..

E poi, che dire dello spirito autodistruttivo di chi ritiene giusto prenderlo nel secchio due volte (la prima al momento dell’acquisto, la seconda rifiutando di essere risarciti)? Che senso ha una soluzione in cui si finisce pur sempre penalizzati? Mistero.

In ogni caso, se le voci di un accordo tra la Ferragni e i consumatori fossero confermate, qualcuno prenderebbe due piccioni con una fava: potrebbe accusare – nel suo finto moralismo – sia l’una che l’altro. Bingo! Due “nemici” tradizionali, non si sa bene perché, colpiti con un colpo solo..

Non c’è dubbio: queste posizioni estreme derivano dalla cieca invidia, dalla frustrazione di chi non è riuscita a raggiungere il livello di una Ferragni e ora strepita ai quattro venti per guadagnarsi il suo quarto d’ora di celebrità. Stavolta, l’accusa è già scritta: usare il denaro per salvarsi. Come se non fosse la legge a permetterlo..

Chiudo con una domanda, che in questi giorni mi ritorna in mente: secondo questi bravi censori, in qual modo dovrebbe essere espiato un reato patrimoniale (come la truffa) – se non con un danno patrimoniale del colpevole? Aspetto le loro risposte: ma, lo so già, non arriveranno.

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