A quanto pare, si è rivelato azzeccato il timore che il nuovo presidente Trump possa chiedere agli “alleati” (= ai vassalli delle nostre latitudini) di innalzare, ulteriormente, la quota di risorse da destinare alle armi. Neanche il tempo di raggiungere il 2% infatti che saremo costretti a fare di più: qualcuno parla del 3%, qualcuno del 5% (!), ma insomma una cosa è certa: nel prossimo futuro, per non incappare nelle ire statunitensi, toccherà imbottirsi di armi e cannoni. Una manna dal cielo per gli armaioli, che già – in un mondo che vede scoppiare una guerra al giorno – navigano nell’oro: il fatturato complessivo delle multinazionali che producono armamenti ha toccato l’incredibile cifra di 632 miliardi di dollari, e a quanto pare giorni ancor più radiosi si stagliano all’orizzonte per i mercanti della difesa.
Non è una novità: già in occasione del suo primo mandato, Trump aveva esortato – eufemismo – gli europei ad aprire il borsello per guadagnarsi una qualche credibilità atlantica. Una sorta di patentino della NATO che verrà: se paghi allora parli, altrimenti taci. Il fatto, però, è che stavolta non sembra ci sia per l’Italia alcuna via d’uscita: e il problema è come finanziare, in piena crisi, una spesa simile. Come ha detto Olaf Scholz, cancelliere tedesco uscente, una cosa del genere si può fare “solo con massicci aumenti delle imposte o forti tagli su cose per noi molto importanti”. Tasse o tagli, non si scappa: tertium non datur.
Non c’è bisogno di un genio dell’economia per capire che, questo shopping nelle armerie, qualcuno dovrà pur pagarlo. L’aria si intuisce già da un po’: Rutte – il bellicosissimo segretario generale della Nato – parla da qualche mese di “sacrifici“, un termine-spia che noi italiani conosciamo benissimo e che fa da sinonimo/anticipazione dei “tagli”: con i bilanci pubblici allo stremo, non resta che mettere mano alle pensioni, alla sanità e ai sistemi di sicurezza. “In media, i Paesi europei spendono facilmente fino a un quarto del loro reddito nazionale per le pensioni, la sanità e i sistemi di sicurezza sociale“, ha infatti detto di recente, come a lamentarsene: ed è chiaro che sarebbero questi i settori coinvolti da una spending review a fini militari. Ecco, riassunto, il delirio delle élite: tagli a pensioni e sanità per fare la guerra!
Quello che questi signori non riescono proprio a vedere, però, è che la sanità, i beni pubblici e la sicurezza sociale sono già sotto stress, se non sotto attacco, da parecchio tempo. Sforbiciate di bilancio in questi settori potrebbero influire negativamente sulla qualità dei servizi offerti, aumentando le disuguaglianze sociali e mettendo a rischio la salute pubblica e i diritti dei singoli cittadini. Si avvicinano tempi complicati: ma se non vogliamo liste d’attesa ancora più lunghe, servizi pubblici ancora più inefficienti e pensioni ancor più fragili non c’è alternativa, bisogna dire le cose come stanno. No, no e no: è la sola risposta da dare a chi – per “proteggerci” – è disposto a mandare a monte tutto quello per cui vale la pena vivere dalle nostre parti.