Una notizia-bomba ha scosso negli ultimi giorni dalle fondamenta il mondo della moda italiana.
L’Antitrust ha avviato infatti un’istruttoria, ma di quelle che fanno rumore: stavolta infatti si procede nei confronti di confronti di alcune società del Gruppo Armani e del Gruppo Dior per possibili condotte illecite nella promozione e nella vendita di articoli e di accessori di abbigliamento, in violazione delle norme del Codice del Consumo.
Le accuse sono bordate in piena regola: secondo l’Autorità in alcuni casi “le società avrebbero utilizzato forniture provenienti da laboratori che impiegano lavoratori che riceverebbero salari inadeguati“, “opererebbero in orari di lavoro oltre i limiti di legge e in condizioni sanitarie e di sicurezza insufficienti, in contrasto con i vantati livelli di eccellenza della produzione“.
Tradotto in soldoni: l’Antitrust ipotizza che le due aziende enfatizzino l’eccellenza dei prodotti mentre i fornitori sfruttano i lavoratori.
Quello dell’Antitrust è però solo l’ultimo tassello di un mosaico che si andava componendo da tempo: l’istruttoria si colloca infatti sull’onda delle indagini della procura e delle attività del Tribunale di Milano. Tra aprile e giugno 2024, infatti, il Tribunale di Milano ha posto in amministrazione giudiziaria le società Giorgio Armani Operations, che fa capo al Gruppo Armani e appalta a terzi la produzione di accessori, e Manufactures Dior, azienda che fa capo alla filiale italiana della maison Christian Dior, uno dei marchi di punta del gruppo del lusso Lvmh, e che sovrintende la fabbricazione di articoli da viaggio, borse e pelletteria del brand frances. L’accusa, ancora una volta, è quella di essersi in qualche modo avvalsi di società subfornitrici colpevoli di caporalato. Un’ombra nerissima, e in caso di conferma una macchia indelebile, per i due marchi.
Vedremo come andrà a finire questa storia. Ma se fossero confermati gli illeciti per cui procede l’Antitrust, una cosa è certa: il danno sia per i consumatori che acquistano capi e accessori dei due marchi, sia per i lavoratori, sottopagati e costretti a lavorare in condizioni di scarsa sicurezza, sarebbe evidente.
I consumatori che acquistano prodotti dei due colossi della moda spendono infatti fior di quattrini per acquistare capi di abbigliamento, calzature e accessori che, sulla carta, dovrebbero rappresentare l’eccellenza. Gli acquirenti confidano proprio in quegli elementi di artigianalità e qualità delle lavorazioni che dovrebbero implicare ambienti lavorativi tutelati e controllati. Le accuse dell’Antitrust vanno però in direzione contraria, ipotizzando un legame tra caporalato e alta moda. Ma allora, su quale base è possibile giustificare gli altissimi prezzi pagati dai clienti?
Senza neanche parlare dello squilibrio mastodontico tra i salari dei lavoratori, sfruttati e sottopagati, e i ricavi delle due multinazionali: una condizione di Davide contro Golia senza precedenti, una disparità, una disuguaglianza di dimensioni sconcertanti. Per questo, se l’istruttoria dell’Antitrust confermerà gli illeciti, siamo pronti a fornire assistenza legale ai lavoratori coinvolti, ai fini delle dovute richieste di indennizzo nei confronti delle società coinvolte: un sasso nello stagno, certo. Ma noi almeno lo tiriamo.