Altro che mare: ci si tuffa nel caro-prezzi


Ogni estate la stessa scena, ormai più prevedibile del traffico in autostrada a Ferragosto. I prezzi salgono, i cittadini pagano. Voli, traghetti, alberghi, pacchetti vacanza: tutto rincara con puntualità svizzera proprio quando milioni di italiani cercano di ritagliarsi qualche giorno di riposo.

Quello che un tempo si chiamava “settore turistico” ha smesso da tempo di operare per il bene comune. Oggi funziona come un sistema a raccolta forzata: si fissa il prezzo, si gonfiano le tariffe, si impacchetta il tutto con il fiocco della stagionalità e il gioco è fatto. A finanziare l’estate ci pensano le famiglie italiane, volenti o nolenti. Come dicono ogni volta? I prezzi li decide la domanda. E finché la domanda c’è..

A giugno, secondo l’Istat, i voli nazionali sono aumentati del 38,1% rispetto all’anno scorso. I traghetti del 19,6%, i pacchetti vacanza dell’8,7%, le case vacanza e gli alloggi alternativi del 5,8%. L’inflazione generale è sotto controllo? Sì, ma guarda caso l’unico settore che non conosce freni è proprio quello legato al tempo libero, al turismo, al diritto – sempre più teorico – a una vacanza.

E le istituzioni? Tacciono. Osservano. Forse approvano. Di certo non intervengono. Nessun tetto ai rincari, nessuna regolazione reale. Ogni estate si lascia campo libero alla speculazione, in nome di un fantomatico mercato libero che in realtà non è libero ma deregolato, abbandonato, imbalsamato in una ritualità che odora da un chilometro di rapacità legalizzata.

Nel frattempo, oltre 8,4 milioni di italiani rinunciano del tutto alle vacanze per motivi economici. Dati reali, non suggestioni, non idee, non “ma io vedo tanti comunque che partono”. Eppure quasi nessuno si pone il problema. Chi parte paga sempre di più, chi resta a casa lo fa perché non può permettersi altro. Il diritto al riposo è diventato un lusso. Ma non ditelo ad alta voce: in fondo, l’importante è che gli aeroporti siano pieni per i TG del sabato, non che lo siano per tutti.

Così si alimenta un mostro che vive sulle spalle di chi lavora dodici mesi per concedersi, forse, una settimana in spiaggia. Una macchina del profitto che ha imparato a massimizzare il guadagno sfruttando l’assenza di regole, la complicità silenziosa della politica, e l’abitudine dei cittadini a subire in silenzio. Non tutti, non sempre, certo – in ogni ambiente c’è sempre chi si distingue per correttezza e onestà – ma insomma l’andazzo è chiaro e non serve spiegarlo.

È un modello che, da una vita, va avanti indisturbato. E che nessuno si sogna di mettere in discussione. Perché disturbare un meccanismo così perfetto? L’importante è che qualcuno paghi. E quel qualcuno, ogni anno, siamo sempre noi.

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