Eccoci qua: di nuovo, la paventata, promessa, garantita abolizione del canone – o almeno la sua riduzione sostanziale – va a finire nel dimenticatoio. Tanto tuonò che, alla fine, non piovve: l’esecutivo come sempre ha imboccato la strada della conservazione, scegliendo di non cambiare nulla sul balzello più odiato dagli italiani.
Eppure, a sentire le loro promesse (come quelle dei governi precedenti), c’era davvero da aspettarsi misure rivoluzionarie. Diceva Giorgia Meloni, anno 2014:
Credo che questa tassa vada eliminata, inserirla in bolletta è un abuso.
Bene, bravi, bis. Solo che ora, dieci anni dopo, la tassa non solo c’è ancora, ma torna ad aumentare. Nel 2025 il canone Rai costerà 90 euro l’anno. Dopo il taglio di quest’anno, che ha portato la tassa a 70 euro, si ritorna alla tassazione applicata dal 2017 al 2023, con un incremento di 20 euro. Un salasso da più di 400 milioni per gli italiani: altro che bruscolini, di questi tempi.
Come dice qualcuno, in un contesto di trasformazioni digitali e mercato libero, una misura come il canone – una fonte di finanziamento garantita e protetta, a prescindere dai gusti del pubblico – rappresenta un obbligo sempre più superato, anacronistico, fuori luogo. Eliminarlo, restituendo denaro a chi è obbligato a finanziare un servizio che potrebbe non volere, è davvero indispensabile. Urgente. Peccato che non accadrà, almeno fino alla prossima campagna elettorale.
Noi, intanto, siamo pronti per altre promesse. Ovviamente, da marinai: quelle che non si rispettano mai.