Le grane del grana

Cari amici,

come si suol dire, al peggio non c’è mai fine! Dopo l’olio non extravergine e la pasta con pesticidi, è il turno del latte e dei formaggi contaminati con le aflatossine.

Il tutto è partito dal rifiuto da parte dell’azienda casearia Ambrosi e della Centrale del Latte di Brescia di acquistare partite di latte con valori fuori norma.

A questo “no” è seguita la segnalazione dell’Asl alla Procura di Brescia che ha dato il via alle indagini. Da giorni i Nas stanno effettuando verifiche e controlli in molte aziende lattiero-casearie di Brescia, Mantova e Cremona. Il risultato? Oltre 60 persone – tra produttori e allevatori – iscritte nel registro degli indagati per “adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari”. In sostanza, questi signori avrebbero messo in commercio latte, destinato alla produzione di formaggi, contenente unGrana-Padano-prodotto-con-latte-contaminato-sequestrate-4mila-formea percentuale di aflatossine superiore ai limiti consentiti dalla nostra cara Unione Europea, limiti tra l’altro bassissimi (50 nanogrammi per litro).

Per chi non lo sapesse, le aflatossine non sono altro che funghi parassiti che si generano sui cereali (come il mais), su alcuni semi oleaginosi (come le arachidi), spezie, granaglie, frutta secca ed essiccata, e sono particolarmente dannose per la nostra salute. Come scrive l’Istituto Superiore di Sanità, “fra le 17 aflatossine finora isolate, solo cinque sono considerate rilevanti sia per diffusione sia per tossicità: le aflatossine B1, B2, G1, G2 e la aflatossina M1”. La B1 è la più pericolosa, tant’è che già nel 1993 era stata inserita dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro nel Gruppo 1 degli “agenti cancerogeni per l’uomo”.

Ma, tornando all’inchiesta, gran parte di questo latte contaminato era destinato alla produzione di Grana Padano che, secondo quanto dichiarato dal Consorzio, non avrebbe ancora raggiunto gli scaffali del supermercato. Il problema emerso in questi giorni sarebbe invece un altro: alcuni caseifici lo avrebbero utilizzato per produrre mozzarelle e ricotte finite nella filiera della distribuzione e arrivate sulle tavole di ignari consumatori. Prodotti che non sarebbero stati messi in vendita sugli scaffali dei supermercati, ma consegnati direttamente a ristoranti e trattorie.

Anzi, sembra che alcune aziende furbette abbiano comperato il latte contaminato ben sapendo della presenza di aflatossine – pagandolo tra l’altro un quarto del valore di mercato – per poi annacquarlo e far scendere la percentuale di micotossine sotto i limiti di legge.

Certo è che notizie di questo genere mi rattristano molto. In un periodo in cui l’Italia fatica ad uscire dalla crisi economica, in cui la fiducia dei consumatori sale ma i consumi sono sempre gli stessi, in cui le aziende faticano a tirare avanti, questo genere di condotte non aiuta. Capisco che dal governo non arrivino incentivi sufficienti e che le tasse affossino qualunque buon proposito ma ingannare il consumatore non può certo essere la soluzione!

Puntare sul Made in Italy, sulla qualità dei prodotti dovrebbe non solo essere la priorità ma anche la chiave per riuscire a restare a galla!

A presto,

CR

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